Derecho & Cambio Social

 
 

 

UN TRAPIANTO COSTITUZIONALE FALLITO :
IL GOVERNO COLEGIADO SVIZZERO IN URUGUAY

Fabio Ratto (*)

 


     

SOMMARIO: 1. La nascita dello Stato uruguayano. – 2. L’esecutivo collegiale del 1918. – 2.1. Il funzionamento del “primo” Colegiado. – 3. Le riforme costituzionali del 1934 e del 1942. – 4. L’esecutivo collegiale del 1952. – 4.1. Il funzionamento del “secondo” Colegiado. – 5. La comparazione tra il “primo” ed il “secondo” Colegiado. – 6. Il Colegiado uruguayano in rapporto al Consiglio federale svizzero.

 

 

1.   LA NASCITA DELLO STATO URUGUAYANO

 

Storicamente, la “Repubblica Orientale dell’Uruguay” non acquisì l’indipendenza così rapidamente come gli altri paesi sudamericani ([1]).  Ciò fu essenzialmente dovuto, sia alla presenza di truppe spagnole nella città di Montevideo, che rimase assediata fino al 1817, sia alle rivalità per il possesso della zona chiamata “Banda Orientale del Río de la Plata”, le quali degenerarono in una guerra tra il Brasile e l’Argentina, al cui termine fu siglato il trattato di Río de Janeiro del 27 agosto 1828 che, sotto gli auspici del Regno Unito, assicurò la definitiva indipendenza dell’Uruguay ([2]).

Da quel momento l’antica “Banda Orientale” divenne uno Stato cuscinetto tra le due grandi potenze sudamericane, vale a dire l’Argentina ed il Brasile ; in più di un’occasione rappresentò l’oasi di democrazia per gli esiliati dell’uno e dell’altro Paese ([3]).

Due anni più tardi, il 18 luglio del 1830, gli uruguayani adottarono la loro prima Costituzione classica latino-americana ([4]), con una struttura organica nordamericana – cioè basata su un potere esecutivo presidenziale ma, al tempo stesso, inserito in una forma di Stato unitario e non federale – cui si aggiunse la Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 ([5]).  I costituenti posero particolare attenzione nella creazione di un’autorità esecutiva capace di essere efficiente al fine di assicurare l’ordine del Paese, ma al tempo stesso, sufficientemente controllata per non costituire un pericolo di autoritarismo e di arbitrarietà ([6]).  Venne, inoltre, organizzato uno Stato unitario, senza autonomia municipale o dipartimentale nonostante il territorio fosse diviso in unità amministrative, governate però da capi nominati dall’esecutivo.

Tuttavia, la realtà politica e sociale dell’Uruguay fece si che quest’idea fosse impossibile da realizzarsi e per tutto il XIX secolo il Paese fu caratterizzato dall’instabilità politica, la cui unica realtà era l’esercizio del potere personale del Presidente della Repubblica ([7]).  Infatti, la vita politica uruguayana seguì i classici percorsi latinoamericani, per cui i capi dei partiti, conservatore e liberale, si sollevarono a turno contro il Presidente insediato a Montevideo ([8]).  Gli uni e gli altri adottarono la denominazione di “blancos” o “nacionales” e di “colorados” ([9]) che distingue tuttora i due grandi partiti uruguayani ed in più di un’occasione queste lotte civili risvegliarono le ambizioni delle grandi nazioni vicine ([10]).  Entrambi i contendenti non presentavano e non presentano marcate differenze ideologiche : sorti com’erano dalle organizzazioni caudilliste che dominarono il Paese dopo il conseguimento dell’indipendenza, i due partiti rispecchiavano soprattutto il contrasto tra la realtà urbana e quella rurale ([11]).

La carta fondamentale del 1830 non fu modificata per un lungo periodo, in quanto il Paese, di fatto, non le prestò obbedienza, vivendo nella sua perpetua violazione ([12]) ; si trattava di una sorta di Costituzione “ornamentale” ([13]).  In tal modo rivoluzioni e guerre civili si prolungarono sino alla fine del XIX secolo, anche se mai esisterono in Uruguay dei dittatori assimilabili a quelli che vi furono negli altri paesi sudamericani ([14]).  La conclusione di questo scontro è stata comunque favorevole ai colorados e si chiuse con un periodo di stabilità costituzionale ([15]) perché sino ad allora il potere esecutivo godeva di una sorta di sovranità limitata, in quanto molti Dipartimenti del Paese erano in mano ai caudillos rurali che di fatto esercitavano il potere in totale autonomia, realizzando il cd. caudillismo rurale.

Del resto, il potere esecutivo forte, è sempre stato la caratteristica comune dei paesi latinoamericani e ciò deriva dalla Costituzione americana, imitata sin dalle origini dalle varie Assemblee Costituenti.  Teoricamente, in tutte le Costituzioni il potere legislativo si pone in una posizione preminente rispetto a quello esecutivo ed al giudiziario, ma la pratica dimostra che il legislativo ha difficoltà ad acquisire una piena vitalità e che spesso l’esecutivo si trasforma in una dittatura.  Ciò può essere anche un retaggio della colonizzazione spagnola, rafforzata dalle condizioni locali, che ha favorito la nascita della tipica forma politica latinoamericana, denominata Caudillo, cioè Capo, che porta con sé un’insicurezza costituzionale caratterizzata dalla produzione di testi costituzionali a raffica, nonché un continuo ripetersi di guerre civili, colpi di Stato e rivoluzioni.

Anche l’Uruguay ha conosciuto questo clima d’incertezza politica, benché lo stesso testo costituzionale rimase in vigore dal 1830 sino all’inizio del XX secolo.  Tuttavia, durante il Novecento, il costituzionalismo uruguayano è stato ricco di esperienze in tema di potere esecutivo, anche se la più interessante ed originale coincide con il Colegiado posto in essere in due distinte occasioni ([16]).  Per comprendere il perché dell’impianto dell’esecutivo collegiale in Uruguay occorre ricordare che a questa forma organizzativa sono state attribuiti diversi vantaggi teorici : impedire il potere eccessivo di un solo uomo, introdurre la deliberazione e la riflessione all’interno dell’esecutivo, nonché, garantire la partecipazione delle varie forze politiche, compresa l’opposizione, all’azione di governo.  Proprio alcune di queste motivazioni servirono da giustificazione per instaurare il potere esecutivo collegiale in questo piccolo Paese sudamericano.

 

 

2.   L’ESECUTIVO COLLEGIALE DEL 1918

 

L’apparizione di una forma di governo collegiale coincise con un periodo di eccezionale prosperità nella vita uruguayana.  All’inizio del XX secolo l’Uruguay era un’oasi di pace, l’industria era in espansione, il bilancio statale in attivo, i salari in aumento e nel 1903, José Batlle Ordóñez (1856-1929), avvocato e giornalista, venne eletto Presidente nella sua qualità di figura più prestigiosa del Partito liberale “Colorado”. 

Come nel caso di tutti i grandi uomini di Stato, Batlle fu il prodotto del suo tempo : un’epoca in cui l’Uruguay si apprestava ad entrare nella maggiore età, economica e sociale.  Infatti, quando giunse alla presidenza, nel 1903, il Paese era ad un livello pressoché feudale, mentre quando morì, nel 1929, l’Uruguay si era trasformato nel primo welfare state dell’America Latina, luogo di coesistenza pacifica dei partiti politici e con la società più aperta dell’emisfero sud del nuovo continente ([17]) (pensiamo dalla libertà di opinione e di stampa, sino alle libertà politiche in tema elettorale) ([18]).

All’interno del Partito Colorado, il batllismo rappresentò per quasi un ventennio la tendenza egemone e di fatto si presentò come una forza di governo che era il risultato di un’alleanza tra la burocrazia statale, le classi popolari e di ceti medi urbani ed aveva il suo punto di forza nella capitale ([19]) (nel 1908 l’Uruguay contava più di un milione di abitanti, un terzo dei quali residenti a Montevideo).

Dal punto vista politico concreto, subito dopo l’elezione di Batlle scattò – com’era ormai prassi consolidata – la rivolta del Partito conservatore “Blanco”, ma essa fu rapidamente bloccata e da quel momento l’Uruguay non conobbe più guerre civili, né delle vere rivoluzioni.  Al termine del suo primo mandato (1903-1907), durante il quale si concluse il caudillismo e furono realizzate importanti riforme sociali ([20]), Batlle Ordóñez decise di passare il potere al suo successore e si trasferì in Europa per ragioni di riposo e di studio ([21]).

Fu proprio in quel periodo di tempo che si formò nella sua mente la convinzione per cui la causa di tutti i mali politici dell’Uruguay, così come di tutti gli altri paesi latinoamericani, derivasse dal potere esecutivo unipersonale, contro il quale occorreva trovare un rimedio.  Lo scopo di Batlle, infatti, era quello di trovare i mezzi per arrestare la storica tendenza latinoamericana dell’autoritarismo dell’esecutivo, eredità spagnola dell’epoca coloniale. 

In particolare durante i quattro anni che trascorse in Europa, Batlle, visse soprattutto in Svizzera dove ebbe modo di conoscere il funzionamento della forma di governo direttoriale, restando colpito dal fatto che la maggioranza dei cittadini ignorasse il nome del Capo dello Stato.  L’intuizione di Batlle fu, quindi, che il sistema elvetico potesse consentire una forma di governo che avrebbe soppresso il Caudillo come capo predominante dell’esecutivo in tutta l’America latina ([22]).

Nel corso del suo secondo mandato presidenziale, dal 1911 al 1915, Batlle, cercò di interessare il Parlamento e l’opinione pubblica in generale circa i vantaggi di avere un governo collegiale ([23]).  Nel mese di novembre del 1912, lasciò che il Congresso iniziasse i primi passi volti a giungere alla convocazione di un’Assemblea Costituente con l’obiettivo di riformare la Costituzione del 1830 ([24]).

Infatti, inizialmente, Batlle non rivelò precisamente le riforme costituzionali che aveva in mente.  Il progetto fu pubblicato solo il 4 marzo del 1913 quando nel giornale “El Día” pubblicò gli “Apuntes sobre el Colegiado” ([25]), Batlle menzionò il problema più serio della storia politica uruguayana, e cioè la tendenza dei presidenti a diventare dei dittatori.  L’Uruguay, secondo la tesi di Batlle, avrebbe potuto salvarsi attraverso la democrazia, adottando il sistema svizzero di direzione collegiale – o per dirla all’uruguayana colegiado ([26]) – per il governo.

L’esecutivo colegiado fu, infatti, la riforma politica più audace che Batlle presentò al suo Paese.  Si trattava niente meno che di sopprimere la Presidenza della Repubblica, sostituendola con una Commissione o un Consiglio, di sette o nove membri, rinnovati dal popolo per la terza parte, come nel caso dei senatori, oppure annualmente, per ogni membro.  Questa riforma si fondava su una serie ben precisa di considerazioni ([27]) :

1)                 la Presidenza così come prevista dalla carta del 1830 concede al cittadino che la disimpegna un potere onnipotente, costituendo di fatto una dittatura, il che attenta ai principi di libertà politica ed al buon governo repubblicano ;

2)                 questo tipo di dittatura presidenziale determina un grave inconveniente pratico : pone il governo ed il Paese alla mercé della buona o cattiva ispirazione del detentore della carica e del suo grado di capacità di governo ;

3)                 essendo questa carica di un potere quasi assoluto, l’ambizione di occuparla determina feroci rivalità tra gli uomini di prestigio politico, dando origine a  guerre, rivolte ed attentati di cui la storia del Paese è piena ;

4)                 l’esecutivo colegiado rispetta i principi di libertà e di buon governo in quanto sopprime il potere personale, istituendo un organo collegiale, direttamente eletto dal popolo ed il cui rinnovo parziale assicura il suo radicamento nella società ;

5)                 dipendendo ogni decisione dal giudizio di più persone e non di una soltanto, l’esecutivo colegiado garantirà una maggiore competenza e giustizia nell’azione di governo, diminuendo l’arbitrarietà e l’errore, in quanto sarà più difficile l’errore di sette o nove persone rispetto ad una sola ;

6)                 sopprimendo la Presidenza, si elimina la più forte causa di ambizione personale ed uno dei motivi permanenti di corruzione e di perturbazione politica ;

7)                 il rinnovo parziale e per membri del corpo collegiale di governo impedirà le sorprese politiche che potrebbe portare con sé l’elezione presidenziale, nonché lo sconvolgimento che impone un tale cambio di governo con il passaggio di poteri da una mano all’altra : il Colegiado sarebbe un corpo al tempo stesso permanente e costantemente rinnovato.

Questa proposta determinò, da subito, una reazione violenta che divise lo stesso partito di Batlle, il Colorado, in due fazioni che protrarranno la loro esistenza sino alle elezioni del 1966, ben 53 anni più tardi ([28]).  A sua volta, anche il partito Nacional o Blanco, di opposizione, era contrario alla riforma per il semplice motivo di opposizione politica ([29]), visto che i conservatori volevano mantenere l’indipendenza rispetto ai liberali colorados e, quindi, non intendevano stare al loro gioco, affermando che la macchina del Colegiado sarebbe servita a Batlle per perpetuarsi nel potere, sottomettendo il nuovo organo al suo arbitrio : era, quindi, un argomento meramente politico e non costituzionale ([30]).  Questo spiega, perciò, il motivo per cui non si giunse ad un accordo con il leader colorado.

In particolare gli anticolegialisti opponevano alla riforma le seguenti obiezioni fondamentali ([31]) :

1)                 il Colegiado è un’istituzione importata che non ha radici nel Paese, non risponde al carattere nazionale e manca di prestigio alcuno ;

2)                 il Colegiado potrebbe trasformarsi in un corpo oligarchico se i suoi membri si accordassero, oppure essere un’entità anarchica, contraria all’azione del potere esecutivo ;

3)                 il carattere e la funzione dell’esecutivo sono opposti alle ampie discussioni che presuppone un corpo deliberante nel quale siedono, con la stessa autorità, opinioni distinte ;

4)                 la storia dimostrebbe che il governo pluripersonale – nelle varie forme del Triumvirato, Direttorio, Consiglio, ecc. – non diede buoni risultati in nessuno dei paesi in cui fu adottato, eccezion fatta per la Svizzera ;

5)                 l’impianto del Colegiado presuppone un’avventura politica difficile da modificare successivamente, la quale potrebbe essere rovinosa per il Paese qualora non desse risultati positivi.

A queste obiezioni il Batlle rispose punto per punto affermando che :

1)                 il fatto che un’istituzione non sia radicata nella tradizione di un Paese non significa che debba rifiutarsi, in quanto ogni innovazione va di per sé contro la routine ;

2)                 la degenerazione oligarchica del Colegiado presupporrebbe l’accordo di tutti i suoi membri ma ciò è reso difficile dal rinnovo a breve scadenza, individuale e popolare, oltre che dal fatto che la maggioranza del collegio appartiene tutta ad uno stesso partito ;

3)                 i fallimenti dei governi pluripersonali nella storia sono dovuti a circostanze aliene alla stessa istituzione e non possono applicarsi ad ogni singolo Paese ([32]).

Con le elezioni del 30 luglio 1916 fu costituita la Convenzione Nazionale Costituente ([33]), che avrebbe redatto una revisione della Costituzione.  Qui trionfò la coalizione dei candidati contrari alla riforma ([34]), ma la personalità dominante di Batlle riscosse un’ampia popolarità ed il suo desiderio di costruire un governo collegiale fu appoggiato da numerosi deputati e senatori, anche perché dalle successive elezioni politiche del 1917 emerse, invece, una maggioranza batllista in Parlamento ([35]).  Nello stesso anno una parte dei liberali accettò il progetto di governo collegiale e ciò fu sufficiente ad assicurare che il partito Colorado potesse continuare la sua egemonia ([36]). 

Un’apposita commissione interpartitica, composta da quattro “blancos” e da altrettanti “colorados” al di fuori della Convenzione e con base nel progetto di Duvimioso Terra, si accordò su una nuova carta fondamentale nel cd. Pacto de los Partidos o “de los ocho” del 6 giugno 1917 ([37]).  A tale patto si addivenne su suggerimento dello stesso Batlle che sacrificò la sua posizione personale al trionfo, sia pure come vedremo parziale, della sua dottrina colegialista ([38]).

La nuova Costituzione uruguayana introdusse così un esperimento nella struttura di governo, del tutto nuovo, non solo per il Sudamerica, ma anche per il mondo intero.  Nemmeno in Svizzera fu stabilita una distribuzione dell’autorità di governo in modo tale che il timone dell’esecutivo era in quattro o più mani (Presidente, Consiglio Nazionale e Ministri di rispettiva nomina).  Così, di fronte ai sistemi tradizionali di organizzazione dei poter pubblici, si pretese di introdurne uno contro l’eccessiva concentrazione del potere personale (pericolo tipico del presidenzialismo) contro l’instabilità dell’esecutivo (tipica del parlamentarismo) e contro la negazione della sua personalità (quasi nulla nel sistema direttoriale ed inesistente in quello convenzionale) ([39]).

In particolare, fu introdotta una biforcazione dell’esecutivo composto da due elementi, come risultato del compromesso tra i fautori di un solo uomo al vertice dell’esecutivo e quelli che volevano, invece, un organo collegiale.  Quindi, una soluzione intermedia che finiva col mescolare la forma presidenziale con quella collegiale ([40]).

Così, come da accordi tra i partiti, la nuova Costituzione – approvata dalla Convenzione il 15 ottobre 1917, ratificata con referendum ed entrata in vigore il 1° marzo 1919 ([41]) – introdusse un potere esecutivo dualista o bicefalo, perché lo stesso si ripartiva tra due organi separati ed indipendenti : la Presidenza della Repubblica, che era mantenuta, ed il Consiglio Nazionale di Amministrazione, introdotto ex novo (art. 70) ([42]).  In tal modo il partito Blanco si assicurava un esecutivo unipersonale con il Presidente, mentre la componente del partito Colorado fedele a Batlle otteneva la collegialità attraverso l’istituzione del Consiglio ([43]).

Al Presidente della Repubblica, che era eletto direttamente dal popolo a maggioranza semplice dei votanti, per un periodo di quattro anni ([44]), spettava la funzione di governo, la rappresentanza dello Stato all’interno ed all’estero,  designando di conseguenza i Ministri degli Esteri, dell’Interno, della Guerra e della Marina, che dipendevano dallo stesso (artt. 71 e 79).  Altresì, gli competeva il comando delle forze armate, l’assunzione di misure di emergenza in caso di attacco esterno o sommossa interna, nonché la nomina e destituzione dei capi della Polizia, scegliendoli in una terna proposta dal Consiglio ([45]).

Il Consiglio, organo ad elezione popolare composto da nove membri eletti per sei anni – con rinnovo di un terzo ogni due anni e con garanzia per la minoranza di detenere un terzo dei seggi ([46]) – esercitava la funzione di amministrazione e gli era assegnata la nomina dei Ministri con competenze più amministrative e tecniche, cioè quelli della Pubblica Istruzione, Lavori Pubblici, Lavoro, Industria, Finanze ([47]), Assistenza ed Igiene (ferma restando la determinazione con legge del loro numero).   Inoltre, con una disposizione di chiusura era stabilito che spettavano al Consiglio tutti i compiti di amministrazione non espressamente riservati al Presidente o ad un altro potere dello Stato (artt. 82, 85, 97 e 105) ([48]).

Questo sistema, in apparenza stravagante, era fondato sull’idea – già elaborata dalla dottrina – della distinzione tra la funzione di governo, che era assegnata al Presidente della Repubblica, e quella amministrativa che, di principio, era attribuita al Consiglio Nazionale di Amministrazione.  Si trattava di un’idea che apparve nella dottrina giuridica uruguayana nella prima decade del secolo XIX, fu ripresa da uno dei principali autori del Pacto de los Partidos, cioè Duvimioso Terra e, da qui, giunse ad essere inserita nel testo costituzionale.  Era evidente che, se dal punto di vista della tecnica giuridica, poteva essere interessante la distinzione tra le funzioni di governo ed amministrativa, assegnando ad organi distinti l’esercizio delle relative competenze, dal punto di vista politico, era altresì prevedibile che un potere esecutivo diviso in due entità indipendenti tra di loro, aveva insito nella sua azione un’inevitabile serie di difficoltà, che si avrà modo di affrontare più diffusamente.

Circa la figura dei Ministri, sia di nomina presidenziale, che del Consiglio Nazionale, occorre ricordare che potevano partecipare alle sedute delle due Camere , senza diritto di voto (art. 112) ed erano politicamente responsabili davanti alle stesse, essendo riconosciuto a ciascun parlamentare il diritto di chiedere ai Ministri le informazioni necessarie per lo svolgimento del suo mandato (art. 49) nonché potevano essere ascoltati dal plenum, quando lo domandava un terzo dei suoi membri (art. 50, cd. llamado a sala) ([49]).  Tuttavia, i Ministri, come capi dei rami dell’amministrazione pubblica, erano soggetti al sistema delle commissioni d’inchiesta che il Parlamento aveva facoltà d’istituire in ogni momento (art. 51). 

Questi tre istituti, espressamente previsti dalla riforma costituzionale del 1918, e cioé : la richiesta di informazioni, l’audizione in assemblea e la nomina di commissioni d’inchiesta, rappresentavano una forma embrionale di parlamentarizzazione del regime uruguayano, perché, nonostante non fosse stata prevista la possibilità che queste inchieste potessero concludersi con un voto di sfiducia individuale al Ministro, costituivano in ogni caso un grande rafforzamento politico del Parlamento ([50]), lasciando in ogni caso aperta la possibilità di un’evoluzione verso quest’obiettivo ([51]). 

Altresì era previsto che, sia i membri del Consiglio, sia il Presidente della Repubblica, sia i rispettivi Ministri, rispondessero davanti all’Assemblea Generale per i “delitti di tradimento, concussione, malversazione di fondi pubblici, violazione della Costituzione o per altri gravi reati”, previa messa in stato d’accusa dei membri della Camera e successivo giudizio pubblico da parte del Senato (artt. 25, cpv. 2, 36, 81 e 102) ([52]).  In particolare per i Ministri era espressamente sancito che l’ordine, scritto o verbale, impartito dal Presidente della Repubblica o del Consiglio, a seconda del soggetto da cui dipendevano, non escludeva la loro responsabilità per i delitti succitati (art. 110).

Passando, invece, all’esame del nuovo organo collegiale di governo in dettaglio, si nota subito che le elezioni al Consiglio Nazionale non coincidevano con quelle presidenziali effettuate ogni quadriennio, così come esisteva discrasia con le consultazioni per la Camera dei rappresentanti, eletta ogni tre anni ([53]).  In un regime presidenziale, la più importante di queste differenze era quella tra le elezioni presidenziali e quelle del Consiglio, potendo arrivare ad avere una maggioranza nell’organo collegiale ed un Presidente appartenenti a due partiti opposti, come in effetti accadde.  Di conseguenza, frequentemente il Presidente del Consiglio Nazionale di Amministrazione, designato dal risultato dell’ultima elezione parziale, fu di un altro partito rispetto a quello del Presidente della Repubblica.  Infatti, il Consiglio era presieduto dal candidato con la maggiore cifra elettorale della lista di maggioranza all’ultimo rinnovo parziale, restando così in carica due anni (art. 84) ([54]).

Quest’organo collegiale di governo, che non era assolutamente posto sotto la dipendenza del potere legislativo, rappresentava un elemento dell’esecutivo destinato a fare, in una certa misura, da contrappeso all’altro fattore, cioè il Presidente della Repubblica.  Tra queste due autorità esecutive poste sullo stesso piano ed indipendenti l’una dall’altra, la Costituzione operava una separazione di competenze.  Il Capo dello Stato conservava la titolarità sulla maggioranza dei ministeri aventi un marcato carattere politico, mentre i restanti affari erano devoluti al Consiglio.  Quest’ultimo, infatti, deteneva i suoi Ministri posti sotto la sua dipendenza, nominati e revocati dallo stesso ([55]). 

E’ importante notare che la materia finanziaria che è, da sempre, un mezzo di controllo e di direzione della politica governativa rientrava nelle competenze del Consiglio.  Allo stesso modo apparteneva a quest’ultimo il compito di redigere il bilancio generale delle spese e deteneva l’iniziativa legislativa in materia di imposte, indebitamento e moneta (art. 98).  Quindi, ad esempio, per qualsiasi affare estero di competenza del Capo dello Stato, quest’ultimo, al fine di concludere dei trattati, doveva aver ottenuto la preventiva approvazione del Consiglio (art. 79, cpv. 23). 

Infine, dettaglio importante, anche se il Ministero dell’Interno rientrava nell’orbita presidenziale, la preparazione delle elezioni era stata assegnata per Costituzione al Consiglio Nazionale (art. 97) ([56]).

Dunque, appare chiaro che il Consiglio Nazionale di Amministrazione si poneva come un mezzo per limitare l’autorità presidenziale, non avendola potuta sopprimere del tutto come voleva inizialmente il Batlle. 

Al tempo stesso, il Consiglio appariva, sotto certi punti di vista, come una sorta di terza autorità posta al lato del Presidente e del legislativo. In particolare la minoranza era rappresentata sia nel governo collegiale, come nel Parlamento : pare perciò che i due poteri erano stati in qualche modo avvicinati ed in effetti, l’esecutivo aveva cessato di essere esclusivamente un organo di governo.

Altresì occorre notare che il Parlamento ([57]) era chiamato a giocare, in certe circostanze, il ruolo di arbitro tra i due grandi partiti dell’esecutivo, visto che gli spettava il compito di risolvere i conflitti di giurisdizione che fossero insorti tra il Consiglio Nazionale di Amministrazione ed il Presidente della Repubblica (art. 18, cpv. 19).

 

 

2.1   IL FUNZIONAMENTO DEL “PRIMO” COLEGIADO

 

In effetti, durante i quattordici anni in cui la Costituzione uruguayana del 15 ottobre 1917 funzionò ([58]), l’Uruguay conobbe una vera tranquillità politica, i poteri rispettarono l’ordine legale e, in sostanza, la democrazia fu una realtà.  A ciò, sembra potersi aggiungere che l’esistenza del Consiglio Nazionale di Amministrazione non sia stata del tutto estranea al risultato della pacificazione politica.  Limitando l’autorità presidenziale, certamente evitò degli abusi, nonché rese possibile l’accesso dell’opposizione al potere attraverso mezzi legali, diminuendo così i rischi di sovvertimento del sistema, attuando una sorta di cooptazione che rese, inevitabilmente, la minoranza meno violenta, introducendola all’interno dell’organo collegiale di governo ed in tal modo facendola partecipare al governo del Paese.

Infatti, per la prima volta, negli anni che seguirono all’entrata in vigore alla Costituzione del 1918, il Paese prese il vezzo di vedere i due opposti partiti – che fino a quel momento avevano composto le loro vertenze nel campo di battaglia – seduti attorno ad un tavolo per discutere con serenità i problemi di governo e dell’amministrazione ([59]).  Si può così correttamente affermare che, a partire dal 1918, grazie alla presenza del Consiglio Nazionale di Amministrazione, a rappresentanza bipartitica, si produsse la pacificazione politica dell’Uruguay, l’esistenza di un regime veramente democratico ed una realtà elettorale rispettosa della libertà e del diritto, lontana da quanto accadeva negli altri paesi sudamericani ([60]).

Tuttavia, ripartendo il potere esecutivo in due rami, la nuova Costituzione implicò la logica possibilità di un conflitto tra i due, con tutte le gravi conseguenze politiche del caso.  Il Capo dello Stato restava spogliato di tutta l’azione di governo, limitando il suo compito al controllo dell’ordine interno ed alla cura delle relazioni esterne.  Tuttavia, i Ministeri dell’Interno e della Difesa che dipendevano direttamente dalla sua autorità, lo posero nel ruolo di capo supremo di tutta la forza pubblica, avendo nelle mani sia la Polizia, che l’Esercito e non ebbe efficacia il tentativo di porre l’apparato di sicurezza pubblica sotto il controllo del Consiglio Nazionale ([61]).

Comunque, se per i detrattori del sistema i conflitti tra i due organi risultavano inevitabili, va anche ricordato che in assenza di particolari difficoltà, non ci furono particolari problemi per il Colegiado.  Infatti, l’assenza di una chiara maggioranza parlamentare e l’uguaglianza delle forse condusse necessariamente ad una politica di compromesso volta a mantenere la governabilità del Paese ([62]).  E proprio questa fu poi una delle cause che condussero al freno dell’impulso riformista del batllismo.

Tuttavia, non si può dimenticare il rimprovero rivolto all’organo collegiale di governo secondo cui sarebbe stato una causa di complicazione e di lentezza nella gestione dello Stato ([63]).  A sua volta ciò era motivato, non solo dal fatto che l’esecutivo era scisso in due parti distinte, ma anche e soprattutto perché la rappresentanza dell’opposizione all’interno del Consiglio Nazionale gli dava i caratteri tipici del Parlamento, tendendo a farne un organo di discussione, anziché di azione come avrebbe dovuto essere.  Inoltre, visto il carattere composito della maggioranza, a volte accadde che la stessa si frantumò in diverse frazioni dando così origine a delle maggioranze nuove, cioè delle vere e proprie maggioranze occasionali in seno al Consiglio Nazionale. 

In effetti, occorre notare che la divisione in due del potere esecutivo rese pressoché impossibile l’adozione di una legislazione di crisi – come sarebbe stata necessaria durante il periodo della crisi economica degli anni Trenta – soprattutto perché, come già detto, l’elezione dei tre corpi di governo non aveva luogo nello stesso momento, dando così origine ad una situazione in cui questi organi risultavano spesso di opinioni politiche divergenti ([64]).  Così, quando si poneva un problema politico importante per il Paese, si sapeva con anticipo che i dibattiti di maggior rilievo sarebbero stati quelli all’interno del Consiglio Nazionale in quanto vi sedevano tutti i capi delle diverse entità politiche.  L’organo collegiale di governo giunse così ad esercitare sull’opinione pubblica una maggiore attrazione rispetto alle stesse assemblee che rappresentavano il potere legislativo ([65]).

Di fatto però il potere esecutivo mancava di influenza sul Parlamento visto il mancato utilizzo della facoltà prevista dall’art. 103 per cui i consiglieri potevano assistere alle deliberazioni del Parlamento, anche se non esercitavano il diritto di voto ([66]).  Questa resistenza dei consiglieri a partecipare al seno delle Camere si spiegava con un duplice motivo : il primo, perché in conformità alla Costituzione, il consigliere doveva chiedere preventiva autorizzazione al Consiglio, il che risultava in alcuni casi sgradevole ; la seconda, perché l’intervento dei consiglieri alle Camere determinava la resistenza dei Ministri del Consiglio che si vedevano così collocati in una situazione di secondo piano ([67]).

Circa l’assenza di agilità da parte del Consiglio Nazionale va rammentato che su quest’aspetto incise anche l’estrema limitazione dei poteri attribuiti ai Ministri nominati dallo stesso collegio.  Infatti, se costoro fossero stati dotati dalla carta del 1918 di competenze più ampie e se non si fossero visti obbligati a portare anche i più insignificanti affari di amministrazione davanti al Consiglio, quest’ultimo avrebbe potuto disporre del suo tempo per le questioni di maggiore importanza ([68]).

Si ravvisava, inoltre, una mancanza di gerarchia istituzionale dei Ministri del Consiglio che non potevano disporre spese senza autorizzazione del collegio, né potevano effettuare nomine senza l’intervento dello stesso.  Le loro iniziative subivano la critica sistematica, fatta pubblica, dei nove consiglieri che non erano tutti specialisti dei diversi rami dell’amministrazione.  I Ministri del Consiglio Nazionale erano così sottomessi, al tempo stesso, alle critiche dei consiglieri ed alla critica parlamentare.  A ciò si aggiungeva, come dimostrazione dell’assenza di considerazione che il Parlamento aveva per il Consiglio, il fatto che molte delle sue iniziative giacevano per lunghi tempi nelle Commissioni od erano respinte per motivi inconsistenti, perdendo così di attualità ([69]).

E’ quindi possibile che il Consiglio Nazionale abbia certamente rallentato l’azione governativa, rendendola persino statica, ma potrebbe apparire esagerato dire che l’abbia addirittura ostacolata.  D’altro canto, il Consiglio Nazionale sembrò aver attenuato positivamente certi difetti del sistema presidenziale contribuendo quindi al mantenimento dell’ordine costituzionale.  L’esperienza uruguayana di un governo direttoriale o pseudodirettoriale potrebbe, dunque, essere vista anche come un certo successo ([70]).

Non va dimenticato poi che il Consiglio Nazionale era stato allestito sulla base di un presupposto politico di dubbia realtà.  Non era infatti possibile concepire l’organizzazione dell’esecutivo del 1918 senza pensare che i suoi creatori credevano ostinatamente all’esistenza nel Paese di due grandi partiti unificati, ma questo non corrispondeva assolutamente alla realtà.  All’interno del Partido Colorado esistevano frazioni, a loro volta suddivise in ulteriori correnti, con le quali la maggioranza dello stesso partito doveva trovare un compromesso al fine di assicurarsi i due terzi dei membri del Consiglio Nazionale.  Accadeva quindi che una volta costituito il Consiglio, queste minoranze dei colorados si univano alla minoranza dei blancos, ma in tal modo venivano del tutto travolti la proporzione e l’equilibrio previsti dal costituente.  Non era quindi più il gruppo dei due terzi “governanti” ed il gruppo dell’un terzo “controllori”, ma quest’ultimo unito alle frazioni minoritarie che componevano il gruppo dei due terzi, compromettendo così la formula politica di organizzazione del Consiglio Nazionale e, per conseguenza, la normalità delle relazioni tra il Consiglio Nazionale e la Presidenza della Repubblica ([71]).

Tuttavia, un’acuta osservazione da richiamare è quella del Kirkpatrick, secondo cui se con il sistema collegiale di governo, il Batlle voleva evitare i mali prodotti dalla concentrazione del potere nelle mani di una sola persona, “l’elaborato e macchinoso congegno costruito per eliminare l’influenza personale, racchiudeva in sé il paradosso per cui solo un uomo forte e deciso poteva farlo funzionare” ([72]).  E’ infatti certo che Batlle aveva una forte personalità e che il suo carattere fu il motore del cambiamento, il quale ispirò il suo pensiero riformista.  Non a caso la morte del Batlle generò un grande sconcerto tra le file delle suo partito, all’interno del quale iniziarono ad apparire tendenze distinte che erano rimaste sepolte sotto l’enorme suggestione provocata dalla forte personalità del leader.

Da un versante opposto si potrebbe invece affermare che la condizione per cui l’equilibrio tra i due rami dell’esecutivo si potesse mantenere nel tempo, consisteva essenzialmente nel fatto che il cittadino eletto per disimpegnare la Presidenza fosse una persona priva di ambizioni al potere, quindi un uomo che accettasse di “regnare senza governare”, limitandosi ad esercitare la sua carica puramente rappresentativa.

Non a caso, il regime bicefalo procedette normalmente durante tre mandati presidenziali e precisamente quando i cittadini chiamati ad esercitare la carica rispettarono le condizioni suindicate.  Cadde, invece, quando giunse alla Presidenza un politico di individualità più attiva ed energica e con l’aspirazione ad avere un’influenza predominante nel governo ([73]).  Il conflitto che si creò difficilmente poteva essere di carattere costituzionale ed amministrativo, dato che le funzioni di entrambi i rami governativi erano chiaramente delimitate, per cui il contrasto si pose sul terreno eminentemente politico.

Batlle, prevedendo questa conseguenza, si oppose sempre – durante gli anni intercorrenti tra l’instaurazione del Colegiado e l’inizio della sua crisi – all’elezione alla carica presidenziale di personalità del suo stesso partito che godevano di un forte prestigio politico personale nelle masse e che sapeva dotati di un carattere energico e di ambizioni di governo.  Si rese conto che questi soggetti non si sarebbero rassegnati a disimpegnare il ruolo passivo di semplici guardiani dell’ordine e della legge, dato che il loro prestigio li avrebbe portati ad esercitare un influsso preponderante negli affari dello Stato, determinandone così la sua crisi ([74]).

In tal modo, finché Batlle rimase in vita, in virtù della sua incontrastata autorità morale che esercitava all’interno del suo partito, furono designati alla Presidenza solamente persone altamente rispettabili, ma senz’altro prive di un vero carisma politico, allontanando sistematicamente dalla candidatura gli aspiranti “pericolosi” per la tenuta del sistema.  Ma con la scomparsa di Batlle, nel 1929, la tendenza volta a portare alla Presidenza una personalità batllista di elevato prestigio politico non incontrò resistenza alcuna e ciò accade già nella prima elezione successiva, che si ebbe nel 1931 con la vittoria di Gabriel Terra ([75]).

Si comprende, in definitiva, che l’equilibrio del sistema colegialista si manteneva artificialmente ed in modo tutto sommato precario, legato com’era al peso morale della volontà di Batlle, all’interno del suo partito.  Risultava, infatti, molto difficile ad un Presidente inclinare la bilancia del potere dalla sua parte – pur essendo il capo delle forze armate – avendo davanti a sé l’autorità morale del Caudillo civile Batlle e  tutta la sua suprema abilità politica.  Ma, dissolta quest’autorità, il regime restò senza appoggio ([76]).

Infine, come non ricordare che, di fatto, tutta la dottrina europea e statunitense era profondamente contraria alla formula colegialista del governo intrapresa in Uruguay.  Così ad esempio De la Grasserie affermava che era il miglior modo per creare l’opportunità affinché le assemblee fagocitassero l’organo esecutivo.  Barthélemy, Duguit, Dupriez ed Esmein, alcuni dei quali, come Dupriez, avevano realizzato dei specifici studi circa l’organizzazione del potere esecutivo, affermavano la più aperta opposizione a questa formula costituzionale ([77]).  Ed in particolare Barthélemy, non solo rifiutava in generale la collegialità dell’esecutivo, ma anche si pronunciò sull’inopportunità dei vari progetti, non solo quello colegialista, che si discutevano in Uruguay ([78]).

 

 

3.   LE RIFORME COSTITUZIONALI DEL 1934 E DEL 1942

 

Durante il prospero decennio degli anni Venti, il Presidente della Repubblica ed il Consiglio Nazionale di Amministrazione poterono risolvere i diversi problemi del Paese in un’atmosfera economica caratterizzata dall’aumento dei salari e la moltiplicazione dei posti di lavoro.  Così, se a questo clima si sommava l’esperienza collegiale di governo, si spiega il perché ad un osservatore straniero sembrava di incontrare la “Svizzera del Sudamerica” ([79]).

Tuttavia, quando la crisi economica degli anni Trenta si affacciò prepotentemente alla ribalta, colpendo duramente anche l’Uruguay soprattutto negli anni 1931-’32, ed in particolare determinando un forte malcontento popolare a scapito delle numerose e prudenti misure assunte dal Consiglio al fine di fronteggiare la situazione ([80]), il Paese ripiombò immediatamente nell’era dei colpi di Stato e le critiche al sistema bicefalo di governo partirono da un settore interno allo stesso batllismo.

Non a caso il programma riformatore e radicaleggiante di Batlle restava sempre subordinato alla capacità di mantenere degli alti ritmi di espansione economica, in modo da finanziare l’ammodernamento del Paese con il ricavato delle esportazioni, ma senza al contempo intaccare i tradizionali meccanismi della rendita di cui beneficiavano i grandi proprietari terrieri.  Quando questo iniziò a venir meno cominciarono i veri problemi per l’Uruguay ([81]) : le difficoltà generate dalla crisi economica provocarono in alcuni settori del governo una posizione critica verso la Costituzione ed iniziò una campagna riformista.

Inoltre, occorre mettere sulla bilancia dei fatti storici anche la discordia provocata in certe minoranze da un accordo concluso nel 1931 tra i grandi partiti, in virtù del quale la ripartizione dei posti amministrativi doveva essere calcolata sulla base della rispettiva importanza dei diversi movimenti.  Questo fu un grave errore, ma il più grave fu che molti di quelli che censurarono il patto allora, caddero essi stessi qualche anno più tardi ([82]).

Il 1° marzo 1931, come si è già accennato, assunse la presidenza il batllista Gabriel Terra, mentre ogni giorno di più si aggravava la crisi economica ed i partiti tradizionali vedevano aumentare le loro scissioni interne, con lo stesso Capo dello Stato che usciva dal suo partito ([83]).  Queste divisioni debilitarono fortemente la base politico-istituzionale che gli autori della Costituzione del 1918 avevano supposto per il funzionamento dell’esecutivo bicefalo.

Sei mesi dopo aver assunto la presidenza della Repubblica, Terra iniziò un viaggio all’interno del Paese al fine di promuovere una riforma costituzionale, rimarcando le sue critiche al lavoro del Consiglio Nazionale di Amministrazione di fronte alla crisi.  Le idee di Terra tendevano ad eliminare il dualismo esistente in seno all’esecutivo, in favore di un sistema più parlamentarizzato, con Ministri aventi maggiore autorità, responsabili davanti alle Camere, garantendo anche una maggiore coerenza nella politica economico-finanziaria del governo ([84]).

Siccome però, i settori riformisti mancavano di una maggioranza in entrambe le Camere ([85]) ed il loro accordo era imprescindibile per iniziare la riforma per via legale, il Presidente Terra – al fine di aggirare la lunga procedura prevista dalla carta del 1918 ([86]), nonché la dura opposizione parlamentare di addivenire ad una soluzione concordata – iniziò a sostenere la tesi del plebiscito che, come espressione della sovranità popolare, si collocava al di sopra del meccanismo di revisione previsto dalla Costituzione ([87]).

Così il 31 marzo 1933, Terra promosse il primo golpe uruguayano del Novecento, nel complesso molto moderato rispetto ai classici procedimenti latinoamericani ([88]).  Infatti, Terra – benché fautore della repressione del movimento operaio e dei partiti di sinistra ([89]) – garantì la maggior parte delle libertà politiche e, dopo aver sciolto l’Assemblea generale, legittimò l’abolizione del Consiglio attraverso l’elezione di una Convenzione Nazionale Costituente ([90]) che procedette immediatamente alla redazione della Costituzione del 1934 che restaurò la carica del Presidente della Repubblica come capo del Governo.  Inoltre, il colpo di Stato ebbe come protagonista un Presidente civile ed avvenne con l’appoggio dell’esercito ma senza il suo diretto intervento, contando dell’appoggio di alcune frazioni dei due partiti politici tradizionali del Paese ed altresì, determinò la sua legittimazione immediata attraverso le urne, convocate già nello stesso anno ([91]).

La nuova Costituzione del 1934 ([92]) dedicò un’ampia sezione ai diritti, doveri ed alle garanzie riconosciute ai cittadini ([93]), consacrando una serie di diritti già sanciti in precedenza ([94]).  Dal punto di vista della forma di governo, se la riforma del 1934 si fece all’insegna dell’anticolegialismo, giungendo ad una formula molto curiosa, fondamentalmente significò un adattamento del regime colegiado e non la sua completa soppressione.

Innanzitutto la Costituzione stabilì un regime parlamentare attenuato, in quanto il potere esecutivo fu attribuito al Presidente della Repubblica – eletto direttamente dal popolo come nella Costituzione del 1830 (art. 149) – ed ai suoi Ministri : in particolare il Presidente deteneva i poteri politici ed amministrativi che erano in precedenza ripartiti tra lo stesso ed il Consiglio Nazionale di Amministrazione (artt. 146 e 158).  Se in questo aspetto l’organizzazione dell’esecutivo non era colegialista, lo stesso Terra fu costretto a trovare un compromesso, in base al quale riservava tre dei  nove seggi del Consiglio dei Ministri alla corrente più importante del partito d’opposizione, mentre le fazioni di maggioranza si dividevano proporzionalmente i  sei restanti scranni dell’esecutivo (art. 163) ([95]).   In altre parole si imponeva sempre una compartecipazione al gabinetto di governo, a dimostrazione di come l’esperienza politica, acquisita in un secolo di storia, era troppo forte perché l’istituzione presidenziale potesse assumere nuovamente le sue caratteristiche originarie.  Il Presidente doveva così attenersi all’orientamento proprio delle correnti politiche di maggioranza delle Camere e quando sedeva in Consiglio dei Ministri la sua posizione, ed il suo voto, erano solo quelli di un primus inter pares ([96]).

In generale, il sistema disegnato dalla carta del 1934 fu definito anche come “duplex”, in quanto permetteva al potere esecutivo di funzionare non solo in modo unipersonale – come normalmente avveniva – ma anche, in certi casi, collegiale ([97]).  In tal modo si pensò di strutturare un regime che unisse alla rapidità ed alla facilità di decisione dei sistemi unipersonali, le garanzie di controllo interno tipiche del metodo colegiado, visto che era sufficiente che un Ministro ponesse qualche affare al Consiglio dei Ministri, anche al di fuori del suo dicastero, affinché la questione passasse dalla competenza del Presidente e del singolo Ministro a quella dell’intero Consiglio, organo nel quale il Capo dello Stato deteneva semplicemente un voto, salvo in caso di parità ([98]).

Tuttavia, il sistema del 1934 instaurò o pretese di instaurare un regime parlamentare.  Nel dilemma tra il sistema presidenziale ed il parlamentarismo, la Costituzione del 1934 si indirizzò sicuramente verso quest’ultimo, anche se regolamentandolo in una forma molto speciale, per cui può affermarsi che si trattava di un caso di semiparlamentarismo o parlamentarismo razionalizzato ([99]).  Fino a quel momento, infatti, sia nella Costituzione del 1830, che in quella del 1918, non era previsto in forma espressa un controllo politico del Parlamento sul potere esecutivo : cioè, non esisteva la censura parlamentare.  Nel 1934, invece, si stabilì la possibilità che le Camere, riunite nell’Assemblea Generale, potessero sfiduciare i Ministri per i loro atti di amministrazione o di governo, provocandone la caduta ([100]).  Nel dettaglio, attraverso un particolare procedimento, si attribuiva all’Assemblea Generale la competenza a giudicare la condotta dei Ministri, disapprovando i loro atti di amministrazione o di governo.  Tale censura doveva essere pronunciata dalla maggioranza assoluta dei componenti dell’Assemblea (art. 139) ed il Presidente poteva procedere alla sostituzione del Ministro quando era stabilita da almeno i due terzi dei membri, mentre se era inferiore il Capo dello Stato poteva sciogliere le Camere, convocando le elezioni da tenersi entro sessanta giorni dallo scioglimento (art. 141) ([101]).  Nel caso però l’Assemblea Generale neoeletta, avesse confermato il voto di censura a maggioranza assoluta dei componenti, ne derivava l’immediata cessazione dalla carica del Consiglio dei Ministri e del Presidente della Repubblica (art. 143).

L’originalità di questo parlamentarismo radicava fondamentalmente nel fatto che la censura non poteva mai implicare un mutamento dei partiti al governo, ma solo un cambio di persone appartenenti alla stessa tendenza politica, ed inoltre il Presidente della Repubblica era a sua volta un Capo di Stato ed un Capo di Governo.  In particolare la base essenziale del parlamentarismo risultava falsata poiché la caduta di un Ministro a seguito della censura non determinava, come nello schema classico, la sua sostituzione con un altro che fosse in accordo con le tendenze  politiche dominanti nel Parlamento.  Tale situazione non aveva vie d’uscita visto che, durante i quattro anni della legislatura, il quadro politico del Consiglio dei Ministri era determinato in maniera inflessibile dal risultato dell’elezione anteriore.

Giova poi ricordare che dal lato del potere legislativo fu mantenuto il sistema bicamerale, ma vi furono modificazioni importanti nella composizione del Senato.  Infatti, quest’ultimo fu svincolato dal principio di rappresentanza proporzionale, a differenza della Camera dei deputati, poiché una metà dei senatori erano eletti nella lista che aveva ottenuto più voti nell’ambito del partito vincitore delle elezioni, mentre i restanti erano assegnati alla corrente maggioritaria dell’opposizione, restando escluse le altre minoranze (art. 86) : si parlò così del Senato, “de medio y medio” (cioè, “di mezzo e mezzo”) ([102]).  In tal modo, la minoranza si assicurò un’importante partecipazione sia al procedimento legislativo che a quello di nomina dei dirigenti degli enti gestori dei servizi pubblici ([103]).

Tuttavia, il sistema ideato dai costituenti uruguayani del 1934 per l’organizzazione del potere esecutivo non diede i frutti sperati.  In primo luogo, il Consiglio dei Ministri non funzionò mai come un organo moderatore e di controllo del potere presidenziale, restando incentrato nelle mani del Presidente, ed i Ministri, nominati e revocati dallo stesso, non ebbero mai la forza politica necessaria per far funzionare il Consiglio secondo le finalità ispiratrici della riforma.  In secondo luogo, la compartecipazione obbligatoria riferita alla distribuzione dei portafogli ministeriali, fu oggetto di severe critiche, così come la composizione del Senato.  Da ultimo, circa il sistema di controllo parlamentare, il sistema, lento e complicato, non funzionò in maniera adeguata.  L’Assemblea Generale, salvo uno o due eccezioni, non giunse mai a censurare i Ministri ed anzi la sfiducia fu sostituita nella vita politica del Paese con delle mere dichiarazioni unicamerali di disapprovazione del comportamento ministeriale, prive di effetti costituzionalmente stabiliti, ma che in diverse occasioni provocarono, grazie alla loro forza politica, la caduta del Ministro la cui condotta era stata oggetto di critica ([104]).

Forse il maggior errore della Costituzione del 1934 era stato proprio quello di includere nell’articolato delle norme che consacravano nel tempo gli aspetti di un accordo politico di circostanza che stava alla base del colpo di Stato, come nel caso della stravagante struttura del Senato ([105]).

Terra, eletto nuovamente alla Presidenza nel 1934, in conformità alla nuova Costituzione per quattro anni, restò al potere sino al 1938 quando fu sostituito da Alfredo Baldomir, uno dei più fedeli uomini del suo governo ([106]).  Durante i primi tre anni del suo mandato, Baldomir governò seguendo le direttive politiche derivate dal golpe del 1933, ma nell’ultimo anno, si pose dalla parte dell’opposizione, propiziando una nuova riforma costituzionale ([107]). 

Non a caso, la sopraggiunta seconda guerra mondiale creò delle nuove condizioni nel Paese, le quali finirono con l’alterare le sue strutture e la composizione delle sue forze politiche ([108]).  Inoltre, non va dimenticato che il problema principale risiedeva nel fatto che la carta del 1934 non raggiunse mai un consenso che andasse oltre i settori politici che ne beneficiarono, né poté creare un clima di normalità politica ([109]). 

La conseguenza di tutto ciò, dal punto di vista politico, fu il colpo di Stato di Baldomir ([110]), posto in essere il 21 febbraio 1942 ([111]) – appoggiato da quasi tutte le forze politiche uruguayane ([112]) – il quale prorogò di un anno il suo mandato, sciogliendo il Parlamento e attribuendo la funzione legislativa ad un Consiglio di Governo ([113]), incaricato altresì di realizzare la riforma costituzionale ([114]).

Nello stesso anno, il 29 novembre, fu approvata la nuova Costituzione ([115]), che ritornò al sistema classico del Presidente liberato da ogni contropotere dell’opposizione, eliminando ciò che rimaneva della compartecipazione forzosa ([116]), con le due Camere elette liberamente secondo il voto popolare ([117]) ed eliminando anche l’esigenza delle maggioranze speciali che assicuravano alla minoranza un potere effettivo di governo ([118]).  Fu solamente mantenuto il principio parlamentare : l’assemblea poteva approvare delle mozioni di censura, e, a sua volta, il Presidente poteva sciogliere le Camere se i voti contrari al Governo erano almeno pari ai due terzi dei voti, aggiungendo però che lo scioglimento poteva intervenire se il voto di censura non fosse confermato dai 2/5 dei voti della nuova Assemblea Generale ([119]).

A sua volta il Consiglio dei Ministri acquistò maggiore importanza ([120]), al punto che venne a costituire un precedente più importante dello stesso Consiglio Nazionale di Amministrazione del 1918, al fine dell’istituzione di quello che sarà il secondo Colegiado uruguayano negli anni Cinquanta ([121]).  Infatti, si riconosceva all’esecutivo la possibilità di prendere decisioni a maggioranza contro il voto del Presidente, mentre il cd. sistema “duplex” del 1934 si flessibilizzava, anche se non totalmente, in quanto il Capo dello Stato poteva – ma non doveva necessariamente – designare quattro Ministri all’interno della corrente del suo partito ([122]).  Risultava, invece, più inverosimile la possibilità che il Presidente si vedesse obbligato alle dimissioni se, dopo lo scioglimento, le nuove Camere avessero confermato il voto di sfiducia ([123]).

Tantomeno, non va dimenticato che la Costituzione del 1942 rispose alla necessità di reintegrare nell’attività elettorale i partiti astensionisti del periodo 1934-1942 (colorados batllistas e blancos independientes) ([124]), nonché di eliminare la situazione di privilegio in cui si era posta la corrente maggioritaria herrerista del Partido Nacional.

   In ultima analisi ci si chiederà qual è il regime stabilito dalla Costituzione del 1942.  La risposta non potrà che essere nel senso di un sistema con forti elementi di parlamentarizzazione, visto che la permanenza in carica dei Ministri era condizionata dal sostegno parlamentare, ma al tempo stesso si trattava anche di un governo con forti tratti di collegialità, poiché era sufficiente la volontà di un Ministro affinché l’organo di governo assumesse la competenza di esecuzione per un dato affare.  Inoltre, il Presidente della Repubblica, seguendo la lettera e la teoria della Costituzione, più che un Capo dello Stato, era un Premier eletto dal Popolo per quattro anni, ma con la particolarità che il suo mandato poteva essere abbreviato come conseguenza della reiterazione di una censura parlamentare.  Non occupava, quindi, la posizione di un potere moderatore, come il monarca inglese o il Presidente della Terza Repubblica francese, ma si poteva configurare come un conduttore della politica, alla stregua del Primo Ministro inglese.

Circa l’esperienza realizzata, senza fare riferimento a singoli eventi, si può affermare che il successo di qualsiasi sistema costituzionale è sempre condizionato ad alcune circostanze che sono esterne alla Costituzione stessa.  Un sistema istituzionale ha sempre una sua anima, e nessun regime funziona bene se le persone chiamate ad esercitare il potere non comprendono con esattezza qual’è questo spirito della Costituzione e ciò non è forse avvenuto tra i governanti che si sono succeduti sotto la vigenza della carta uruguayana del 1942 ([125]).

Tuttavia, un sistema democratico basato sui partiti politici, richiede altresì che gli stessi rispettino certi doveri, tra i quali non è il meno importante quello per cui i partiti siano disposti ad assumersi la responsabilità del Governo nella stessa misura in cui siano loro corrisposti i poteri all’interno dell’esecutivo : nel caso dell’esperienza del 1942, questi doveri non sempre parrebbero essere stati tenuti in considerazione.  Infatti, come non ricordare i due presupposti generali su cui si fonda una Costituzione democratica : la lealtà politica e la volontà unanime di difendere l’integrità del sistema istituzionale, ragion per cui i partiti dell’opposizione non dovrebbero confondere l’esercizio del controllo sugli atti del Governo con lo scandalo sistematico che possa in qualche modo compromettere il prestigio delle istituzioni e se esaminiamo la storia costituzionale uruguayana questo si è a volte verificato a danno della stabilità del sistema ([126]).

 

 

4.   L’ESECUTIVO COLLEGIALE DEL 1952

 

Il seme colegialista, gettato da Batlle nel 1913, fruttificò nuovamente ad inizio anni Cinquanta.  Il 13 luglio 1951, poco più di quattro mesi dopo l’assunzione della carica, il Presidente della Repubblica Andrés Martínez Trueba, uno dei discepoli di Batlle Ordóñez, annunciò che una Commissione extraparlamentare, non ufficiale, ma rappresentativa dei maggiori partiti, aveva raggiunto un accordo circa la riforma della Costituzione ([127]).  La consultazione delle forze politiche del Paese era volta al chiaro scopo di porre in essere il sistema di governo preconizzato dal suo maestro 35 anni prima ([128]), ricordando che già nel 1946 era stata proposta una riforma per l’introduzione del colegiado integrale ([129]).

Questa volta il Partito Blanco minoritario accettò il progetto ([130]), anche se alcuni gruppi del Colorado ed altri settori politici si opposero ([131]).  Un accordo formale, cd. “de copartecipación” ([132]), tra i colorados batllistas e la corrente maggioritaria dei blancos, cioè quella “herrerista” ([133]), raggiunto il 31 luglio 1951 permise l’accettazione del progetto di riforma che fu trasmesso alle due Camere al fine della sua approvazione.

Conformemente alla procedura prevista dalla Costituzione in vigore, cioè quella del 1942, la riforma fu definitivamente approvata dalle due Camere il 26 ottobre 1951 ([134]) e quindi sottoposta a referendum, restando approvata, sebbene di misura ([135]).  In particolare, gli oppositori del nuovo sistema trionfarono nella capitale Montevideo ([136]), dimostrando così quanto fosse irto di difficoltà il cammino della nuova Costituzione, soprattutto qualora non avesse dimostrato successo nel suo quotidiano funzionamento.  In particolare, un’approvazione popolare risicata avrebbe potuto un giorno incoraggiare gli avversari della riforma a promuoverne la revisione.

Dal punto di vista strettamente politico, la Costituzione rispose a due esigenze primarie :

a) istituzionalizzare un governo bipartitico, creando la struttura costituzionale della compartecipazione al potere dei blancos e dei colorados ([137]) ;

b)  dirimere una grave disputa tra i diversi settori dei suddetti partiti.

Se formalmente il nuovo testo costituzionale dell’Uruguay non era che una riforma della Costituzione del 1934, in realtà si trattava di un vero e proprio testo distinto ([138]) : il quinto di questo Paese in 120 anni di vita indipendente, anche se, in realtà, gli stessi si riducevano a due perché l’antica Costituzione del 1830 – che ebbe una vigenza molto spesso solo teorica per ottantotto anni – fu ripresa nel 1934 e nel 1942, mentre quella di Batlle Ordóñez del 1918, rimasta in vita per quattordici anni, è stata ripresa nel 1952.  Ciò confermava, quindi, il fatto che, negli ultimi tempi, si assistesse ad un’eccessiva propensione a modificare il testo costituzionale, al fine di adattarlo alla realtà od alle circostanze politiche imperanti ([139]).  Con la nuova carta, però, se da un lato si chiudeva la tappa aperta dal golpe del 1933, dall’altro si giungeva, questa volta sino alle estreme conseguenze, all’idea primitiva del Colegiado.

La caratteristica principale di questa nuova carta ad esecutivo collegiale era la totale soppressione della figura del Presidente della Repubblica, sostituito da un Consiglio Nazionale di Governo (art. 149) composto da nove membri eletti direttamente dal popolo ogni quattro anni (art. 150) ([140]).  Sei componenti di quest’organo appartenevano al partito maggioritario, mentre i restanti tre erano di quello minoritario più forte (art. 151) ed al termine del mandato dovevano attendere un quadriennio per l’eventuale rielezione ([141]).  In questo modo si aveva una formula colegialista integrale e non più una soluzione ibrida come quella del 1918 o, per una certa forma, come quella del 1934 ([142]).  Ne scaturiva che la titolarità del potere esecutivo e la guida dello Stato venivano a coincidere in un unico organo collegiale.

      Quindi, si può dire come il sistema del 1952 pretendeva di essere, ancora una volta, la formula in grado di risolvere, all’interno delle possibilità proprie della liberaldemocrazia, quell’inevitabile rafforzamento dell’esecutivo, evitando l’esistenza di un presidenzialismo personalista ; formula che, secondo la Commissione che presentò alle Camere il progetto della Costituzione, “offre le massime garanzie di ordine, di serietà nel governo, di continuità nella gestione pubblica e di rispetto del diritto” ([143]).

Tuttavia, per comprendere bene la composizione del Consiglio Nazionale di Governo è necessario spiegare il funzionamento del sistema elettorale uruguayano.  In questo Paese, all’interno dei due grandi partiti tradizionali – Colorado e Blanco o Nacional, che costituivano i cd. lemas – esistevano delle correnti di opinione diverse e, quindi, dei gruppi – cioè, i cd. sub-lemas – che potevano presentare delle proprie liste di candidati alle elezioni ([144]).  Così, al momento del voto, il cittadino votava per il partito ed il gruppo che preferiva e nella conta dei suffragi ai fini del Consiglio di governo, i sei seggi spettanti alla maggioranza andavano alla lista più votata nell’ambito del partito vincitore, in quanto tutti i consensi in favore del candidato di una corrente si andavano a sommare in favore di quelli degli altri gruppi dello stesso movimento ([145]).  La fusione di tali minoranze interpartitiche poteva, quindi, costituire delle maggioranze all’interno del singolo partito, fermo restando il divieto di associarsi al fine di crearne dei nuovi. 

Di questo sistema tipico dell’Uruguay, si tenne conto nella composizione del Consiglio Nazionale, per cui era ulteriormente precisato che uno dei sei seggi destinati alla corrente del partito maggioritario doveva essere assegnato ad un secondo gruppo dello stesso qualora avesse ottenuto almeno un sesto dei voti ottenuti complessivamente dal partito, mentre per i restanti tre seggi dell’opposizione si procedeva alla loro ripartizione tra le liste del partito minoritario, in proporzione ai voti ottenuti dalle stesse.  In tal modo era solo la maggioranza e la più forte opposizione a sedere nel Consiglio Nazionale di Governo, restando escluse dalla rappresentanza tutte le altre minoranze : non si aveva, quindi, un governo integralmente rappresentativo ([146]).

In tal modo, il fatto che il partito detentore dei sei seggi maggioritari corrispondesse al “lema” che aveva ottenuto più voti non significava necessariamente che dovesse poi votare in blocco sulle questioni all’ordine del giorno, ma, anzi, le sue correnti interne si distribuivano i posti del collegio in base al loro peso elettorale, come in una sorta di “manuale Cancelli”. 

Ne derivava così un sistema in cui il partito maggioritario aveva la possibilità di governare assumendo la piena responsabilità dell’azione di governo perché detenendo sei voti all’interno del Consiglio si assicurava l’effettività dell’azione di governo ; ma, a sua volta, la minoranza, con i suoi tre rappresentanti in seno all’organo, poteva controllare e vigilare dall’interno l’azione del potere esecutivo.  Questo significava che il controllo non era a posteriori come quello parlamentare, ad esempio attraverso la censura ministeriale o per mezzo di un apposito tribunale che giudicava della legittimità dell’azione amministrativa, ma era un controllo preventivo, di carattere politico, che si esercitava quando la volontà del potere esecutivo non si era ancora formata, in quanto era in corso di elaborazione. 

Con la scomparsa della figura del Presidente della Repubblica, le sue funzioni rappresentative furono esercitate, a rotazione, per un anno ciascuno, dai quattro membri della lista del partito maggioritario, secondo l’ordine che occupavano nella lista elettorale (art. 158) : ciò significava che, salvo casi particolari, i primi quattro della lista rivestivano a turno la carica di Presidente.  Quindi, il collegio non eleggeva il suo Presidente, ma si aveva una sostituzione automatica, oltre al fatto che il Presidente del Consiglio non godeva di alcuno status speciale, in quanto, fatta eccezione per la rappresentanza dell’organo, la firma delle decisioni e la presidenza delle sedute del Consiglio, non disponeva di nessuna competenza propria.  Si trattava, semplicemente, di un direttore del dibattito in seno al Consiglio, che sottoscriveva tutte le decisioni dello stesso congiuntamente al/ai Ministro/i interessato/i ed al Segretario del Consiglio ([147]), oppure solo con quest’ultimo qualora si trattasse di affari interni.  Ma, a parte questi incarichi, il Presidente non godeva di altri poteri, diversi da quelli dei restanti consiglieri.  Inoltre, una specifica disposizione precisava che, individualmente, ciascun membro del collegio di governo – Presidente incluso – non poteva impartire ordini di sorta (art. 167).  Non a caso un’ espressione politica che fece molta strada in Uruguay era quella per cui il potere presidenziale era rimasto ridotto al potere di “suonare la campanella” ([148]).

Il Consiglio teneva riunioni periodiche – mediamente due volte alla settimana – ed altre speciali tutte le volte che il Presidente o due dei suoi membri lo chiedevano.  Per la validità di ogni seduta era previsto un quorum minimo di cinque consiglieri presenti ed il Presidente deteneva diritto d’intervento e di voto a tutte le riunioni (art. 160) : solo in caso di parità il suo voto diventava determinante, diventando una sorta di “consigliere in più”, tenendo presente che le deliberazioni venivano assunte a maggioranza ([149]). 

Le attribuzioni del Consiglio Nazionale di Governo erano le stesse che normalmente spettavano al Presidente della Repubblica, a partire dalla rappresentanza interna ed estera dello Stato (art. 156).  Inoltre, “dandovi attuazione con il Ministro o i Ministri rispettivi”, gli competevano anche : mantenimento dell’ordine pubblico ; comando delle forze armate ; pubblicazione ed esecuzione delle leggi ; diritto di proposta e di discussione in merito alle leggi (in particolare, l’iniziativa parlamentare restava ristretta in molte materie, in particolare quelle legate alla finanza pubblica) ; nomina dei funzionari, militari e diplomatici ; accreditamento degli agenti diplomatici esteri ; dichiarazione di guerra, in accordo con il Parlamento ; preparazione del bilancio, ecc. (art. 157).  Altresì, al Consiglio Nazionale spettava il potere di nomina e destituzione, con la maggioranza semplice dei voti, dei Ministri, dei Capi della Polizia dipartimentale e del Segretario del Consiglio (artt. 173, 174 e 166) ([150]).

Analizzando queste competenze si vede che esse corrispondevano più a quelle di un Capo dello Stato repubblicano, che non di un Governo.  Ciò era ulteriormente dimostrato dal fatto che i consiglieri nazionali detenevano le stesse immunità ed incompatibilità previste per deputati e senatori (art. 171) e potevano essere accusati solo con un procedimento simile all’empeachment anglosassone che sarà esaminato più avanti.

In particolare, risulta opportuno soffermarsi sulle figure dei Ministri in quanto la Costituzione, a scapito della forma corporativa del potere esecutivo, li manteneva.  Essi si ponevano come i capi dei Dipartimenti tecnici del Governo, in quanto i consiglieri nazionali non erano titolari dei singoli dicasteri, mentre scomparve del tutto il Consiglio dei Ministri. 

La previsione era di nove Ministri, nominati dal Consiglio Nazionale di Governo, ma il loro numero poteva essere modificato da una legge successiva approvata a maggioranza dei due terzi di ciascuna Camera (art. 174).  All’inizio di ogni legislatura essi dovevano dar conto all’Assemblea Generale di quanto concerneva i rispettivi dicasteri ; potevano assistere e prendere parte alle deliberazioni delle due Camere e delle Commissioni interne, ma non detenevano il diritto di voto (artt. 177 e 180). 

Le competenze ministeriali erano quelle tipiche, meramente amministrative, di attuazione della Costituzione, delle leggi e dei decreti, di preparazione dei progetti di leggi, di vigilanza sulla gestione amministrativa, ecc., da esercitarsi “in accordo con le leggi e le disposizioni del potere esecutivo” (art. 181).  I Ministri erano quindi dei diretti collaboratori del collegio di governo ed in particolare risultavano responsabili dei decreti e delle ordinanze sottoscritti con il Presidente del Consiglio Nazionale.  In particolare ogni decisione del potere esecutivo era un atto giuridico complesso che richiedeva la convergenza di due volontà giuridiche : quella del Consiglio di governo e quella del Ministro competente, in quanto senza quest’ultima non vi era la possibilità dell’esercizio di una competenza del potere esecutivo ([151]).

Circa il concreto metodo della gestione pubblica, da parte del Consiglio Nazionale di Governo, si ricorda che la volontà giuridica del potere esecutivo si formava attraverso l’accordo tra il Consiglio di governo ed il Ministro od i Ministri rispettivi.  Gli atti amministrativi nascevano nei Ministeri, dove iniziava il vero studio degli affari con la raccolta delle informazioni necessarie, per cui il Ministro ed i suoi collaboratori preparavano la decisione che doveva poi essere emanata dall’esecutivo.  Il Consiglio, a sua volta, era ripartito in sotto-commissioni, competenti per gli affari di carattere economico-finanziario, politico, attinenti le relazioni internazionali, la difesa, la sicurezza, ecc.  : tali sotto-commissioni erano composte dai consiglieri, in gruppi di tre, di cui due appartenenti alla maggioranza ed uno all’opposizione.  In tal modo i progetti delle decisioni, elaborati nei Ministeri, erano preventivamente studiati dai funzionari tecnici di ciascuna sotto-commissione del Consiglio.  Infine, prima che la questione fosse sottoposta all’esame del plenum, la sotto-commissione la esaminava alla presenza del Ministro competente che compariva davanti ad essa con i suoi consiglieri tecnici.  I progetti erano poi normalmente oggetto di una delle seguenti deliberazioni della sotto-commissione : “approvato”, “respinto”, “aggiornato” e nel caso di approvazione era trasmesso al Consiglio plenario.  In caso di rigetto, invece, la proposta doveva tornare al Ministero interessato per una soluzione conforme alla decisione ; normalmente, però, il Ministro desisteva dal portare la decisione davanti al Consiglio.  Nel caso, invece, il progetto fosse stato aggiornato per studi più approfonditi, esso doveva ritornare, entro breve termine, affinché la commissione o il Consiglio assumessero la decisione definitiva.  Le sedute del Consiglio non erano pubbliche, ma le decisioni erano pubblicate dall’Ufficio Stampa del Consiglio e su tutti i giornali della capitale che fornivano ogni giorno una relazione completa degli affari trattati e delle opinioni formulate dai consiglieri a sostegno del loro voto ([152]). 

La Costituzione del 1952 seguitava ad assicurare all’esecutivo un potere di veto sospensivo sulle leggi approvate dal Parlamento – in conformità alla tradizione in vigore sin dalla carta del 1830 – ma esso poteva essere superato se le Camere persistevano nel testo precedentemente approvato (artt. 137 e ss.) ([153]).

Una variante era, invece, introdotta circa la responsabilità politica del Parlamento, e cioè l’abolizione della facoltà per il potere esecutivo di sciogliere le Camere in caso di conflitto, introdotta con la Costituzione del 1942, anche in conseguenza dell’eliminazione della figura del Presidente della Repubblica che deteneva tale facoltà ([154]).  Inoltre, se i Ministri erano sopravvissuti senza grandi mutamenti alla riforma costituzionale del 1952, assieme al Presidente della Repubblica scomparve anche il Vicepresidente ([155]).  D’altra parte, l’evoluzione costituzionale uruguayana era caratterizzata da un sistema quasi parlamentare, per cui era logico che una riduzione della forza dell’esecutivo presupponeva un nuovo passo in avanti nella sottomissione dello stesso alle Camere, scomparendo la facoltà di scioglimento che aveva il Presidente ([156]).

Quindi, si può affermare che il Consiglio Nazionale di Governo era un autentico organo collegiale, nel quale “i consiglieri non potranno individualmente impartire ordini” (art. 167, cpv. 2), ed il cui Presidente mancava di altre attribuzioni oltre a quelle sopra indicate.  In particolare il Consiglio deteneva propriamente la guida collegiale dello Stato ed esercitava il potere esecutivo.  I Ministri, tra loro, non formavano un organo collettivo ed erano titolari di uno dei servizi amministrativi.  Del loro operato amministrativo o di governo rendevano conto al Consiglio ed al legislativo che potevano destituirli : il primo quando lo riteneva opportuno, il secondo ricorrendo allo strumento della mozione di censura ([157]).  Infatti, ciascuna Camera poteva presentare una mozione che, dopo essere stata accettata almeno dalla maggioranza dei presenti della stessa, passava all’esame dell’Assemblea Generale che se la approvava a maggioranza assoluta dei componenti obbligava il Ministro alle immediate dimissioni (artt. 147 e 148) ([158]).  A differenza di quanto accadeva nella precedente Costituzione del 1942, con quella del 1952 l’esecutivo non poteva opporre alla censura, né il diritto di replica, né quello dello scioglimento delle Camere.

Il Consiglio mancava, invece, della responsabilità politica davanti al Parlamento, che non poteva quindi sfiduciarlo, in quanto sussisteva solamente la possibilità del giudizio politico in caso di “violazione della Costituzione o delle leggi o per altri gravi delitti”, applicabile a diversi tipi di funzionari pubblici, tra i quali consiglieri e Ministri, ma anche al Consiglio nella sua totalità (artt. 93, 102 e 172) ([159]).  Il giudizio politico era un istituto elaborato sotto l’ispirazione dell’empeachment nordamericano, già previsto nella Costituzione del 1918, ma ora per la messa in stato d’accusa dei consiglieri si richiedeva la maggioranza assoluta dell’Assemblea Generale, mentre il giudizio restava rimesso al Senato.  Si trattava di una responsabilità di carattere strettamente politico, bensì politico-penale, non potendosi instaurare il giudizio politico per una discrepanza nella conduzione dell’attività governativa, essendo richiesta l’esistenza di un delitto posto in essere dal consigliere o dal Ministro.

Infine, occorre ricordare che la carta del 1952 intervenne anche a livello locale modificando la struttura organica delle divisioni dipartimentali ([160]), traendo spunto dalla riforma dell’esecutivo centrale.  Infatti, se sulla base della Costituzione del 1934, i Dipartimenti avevano alla loro guida un Intendente, incaricato della funzione esecutiva, accanto al quale si poneva la Giunta Dipartimentale avente competenze legislative in ambito municipale, entrambi eletti direttamente dal popolo, con la riforma costituzionale del 1952, gli Intendenti furono sostituiti da un Consiglio Dipartimentale – una sorta di esecutivo provinciale – composto da 7 membri a Montevideo e da 5 nelle restanti Province, il quale era sempre affiancato dall’organo legislativo, cioè la Giunta Dipartimentale, a sua volta costituita da 65 membri a Montevideo e 31 nei restanti Dipartimenti (art. 262) ([161]).  A differenza del sistema del 1934, anche i Consigli erano eletti direttamente dal popolo, con una composizione simmetrica del Consiglio Nazionale di Governo, per cui, nella capitale, sedevano quattro membri della maggioranza e tre dell’opposizione, mentre negli altri Dipartimenti la proporzione era di tre contro due (art. 270).  In questo modo, ogni distretto, vedeva riprodotto esattamente il sistema di governo collegiale vigente a livello nazionale ([162]). 

 

 

4.1   IL FUNZIONAMENTO DEL “SECONDO” COLEGIADO

 

Se, sotto certi punti di vista, la Costituzione del 1952 poteva apparire come una sorta di patto di maggioranza in vista della risoluzione di problemi politici urgenti, lasciando trasparire anche una certa transitorietà insita nel testo, non si può negare che la riforma messa in cantiere dai partiti si allontanò dalla routine e fu concepita come un programma a lungo termine al fine di canalizzare la vita politica uruguayana in un nuovo sistema di governo ([163]).  Anzi, considerata in sé, la carta del 1952 appariva come un testo nuovo, con caratteristiche molto differenti rispetto ai  precedenti.  Significativamente per Couture la riforma sembrava ispirata dal consiglio di Jefferson : “Il buon governo non si realizza attraverso il rafforzamento o la concentrazione dei poteri, ma per mezzo della loro ripartizione” ([164]).

Indubbiamente, molte delle sue conquiste, specialmente quelle volte ad aumentare i controlli giuridici, sono rimaste come un progresso indelebile nell’evoluzione costituzionale dell’Uruguay.  I difetti, che sono stati segnalati e che verranno di seguito esaminati, potrebbero invece essere, in gran parte, conseguenza della struttura politica del Paese e non del regime costituzionale. 

Peraltro, la revisione non interessò la struttura sociale, economica o giuridica della nazione.  Quest’ultima conservò i suoi pregi ([165]), che erano numerosi, ma anche i suoi problemi, che lo erano altrettanto, mentre solo l’ordine politico era stato modificato, sia pure parzialmente perché le trasformazioni non interessarono il potere legislativo, né quello giudiziario, ma solo l’esecutivo, i servizi amministrativi ed il governo locale.

Da un punto di vista strettamente istituzionale, non si può affermare che il risultato del “secondo” Colegiado sia stato assolutamente positivo, né assolutamente negativo.  Vi erano, lasciando da parte l’ambito politico generale, evidenti vantaggi ma sono stati accertati anche forti difetti. 

Il più evidente vantaggio del sistema è stato che il funzionamento dell’esecutivo Colegiado rafforzò maggiormente l’esistenza di uno Stato di diritto, nonché di una democrazia fondata nella possibilità di rotazione dei partiti al potere.  La totale eliminazione dell’onnipotenza presidenziale, la convinzione per cui il Governo non comanda, ma governa, la separazione o la convinzione pubblica per cui il potere non è radicato in una persona, ma in un organo che manifesta una volontà giuridica e non psichica, la piena discussione all’interno del Consiglio, il controllo, a priori, realmente efficace della minoranza sulla gestione del governo, la conoscenza pubblica dei dibattiti in seno al potere esecutivo dei più delicati problemi politici ed amministrativi, sono alcuni dei fattori positivi.  Nessuno si azzardava a sostenere nel Consiglio una conclusione per la sola ragione dei voti : mai un progetto fu approvato perché sei erano contro tre.  La critica della minoranza in questo senso fu fondamentale : l’esperienza pratica dimostrò come circa il novanta per cento degli affari sottoposti al Consiglio di governo furono approvati all’unanimità, cioè da maggioranza ed opposizione, mentre nel dieci per cento restante, in un’alta percentuale, si pose attenzione alle critiche ed ai suggerimenti della minoranza ([166]). 

Inizialmente il Colegiado del 1952 sembrava in grado di risolvere i problemi del Paese, riuscendo anche a fronteggiare una serie di eventi di carattere emergenziale e, nelle circostanze difficili ([167]), il Consiglio riuscì anche ad agire con unanimità d’intenti ([168]).  I suoi metodi di lavoro non erano inclini ai vasti piani di governo, né ad un’attenzione meticolosa verso le pratiche amministrative che reclamavano urgenza, ma il potere esecutivo collegiale contribuì alla pubblicità della gestione di governo, al controllo di quest’ultima da parte degli organi di opinione e ad una maggiore responsabilità politica degli uomini di governo davanti ai loro partiti.  Tuttavia, con il passare del tempo il Colegiado dimostrò tutta la sua incapacità di confrontarsi efficacemente con le gravi crisi esterne od interne, come i conflitti o le rivoluzioni ([169]).

In particolare, se da un lato il sistema determinava un certo rallentamento dell’azione amministrativa – con il Consiglio che era quasi divenuto una sorta di terza Camera – dall’altro garantiva un buon sistema di pubblicità, visto che la critica della gestione pubblica era assicurata non solamente dai partiti politici, ma anche dagli organi di stampa e da tutti i cittadini che potevano seguire giorno dopo giorno l’azione amministrativa del Consiglio, favorendo un controllo popolare diretto sulla gestione del potere esecutivo e sul processo di formazione della volontà dell’organo ([170]).  Tuttavia, l’intensità del compito di amministrazione rendeva gravoso il compito dei governanti, sia Ministri che consiglieri, che dovevano occuparsi di tutti i problemi nei vari ambiti.

Con l’eliminazione dell’istituto della dissoluzione del Parlamento, previsto dalle Costituzioni del 1934 e del 1942 (rispettivamente artt. 141 e 140) venne poi meno l’esistenza di un qualche espediente, nel caso in cui si fosse creato un conflitto tra esecutivo e legislativo, anche se, a partire dal 1934 – da quando, cioè, si organizzò nel Paese il sistema parlamentare – non furono mai sciolte le Camere.  Quindi, si può vedere come in nessuna occasione un conflitto di poteri fu effettivamente risolto attraverso lo scioglimento del Parlamento e le successive elezioni ([171]).

Dal punto di vista tecnico si può dire che il ruolo politico dei Ministri subì una sorta di decadenza con la Costituzione del 1952.  Infatti, il loro assoggettamento al regime della discussione delle loro decisioni da parte dei membri delle commissioni del Consiglio e di quest’ultimo risulta del tutto estraneo ai sistemi presidenziali ed i consiglieri potevano spesso essere meglio informati del relativo Ministro circa una decisione proposta dallo stesso, che doveva poi sempre difendere i suoi progetti e sottomettersi al risultato della deliberazione.  D’altro lato va anche rimarcato che il rigetto di una proposta non determinava automaticamente un pregiudizio alla fiducia politica, né creava una crisi tra il Ministro ed i membri del Consiglio che si erano opposti alla decisione.

Inoltre, il fatto che l’art. 149 affermasse testualmente che “il potere esecutivo sarà esercitato dal Consiglio Nazionale di Governo”, poneva il problema molto discusso circa il fatto che i Ministri fossero parte integrante dell’esecutivo, oppure dei meri segretari di Stato.  Nelle Costituzioni del 1934 e del 1942, la soluzione affermativa derivava da un testo espresso (rispettivamente gli artt. 146 e 145) ma questi furono soppressi nel 1952, lasciando così aperto il problema ([172]).

Nell’esperienza di funzionamento del “secondo” Colegiado, non vi fu mai un’espressa collaborazione governativa tra la maggioranza e l’opposizione, cioè non si formò mai un governo di coalizione nel quale erano presenti Ministri dell’una e dell’altra coalizione.  Infatti, i Ministri furono sempre nominati dal partito maggioritario, per cui esistette solo una compartecipazione imposta dalla Costituzione ([173]), ma senza alcuna collaborazione tra i due partiti che sedevano nel Consiglio.

Dal punto di vista politico, i metodi di lavoro del Consiglio si avvicinarono a quelli dei governanti che assumono il ruolo di dispensatori di favori e privilegi, facendo della loro funzione pubblica una piattaforma al fine di esibire la loro personalità con lo scopo di un ulteriore sfruttamento.  Il governo collegiale richiedeva degli uomini di Stato piuttosto che dei politici : questi ultimi, infatti, turbavano il lavoro dei primi.  Così, la loro incompatibilità, nel quotidiano lavoro di governo, si poteva rilevare maggiormente qualora la composizione del collegio avesse comportato una differenza troppo marcata tra gli uni e gli altri.

Tuttavia, questo sistema nato senza un autentico sostegno popolare presto divenne impopolare e si può, per certi versi affermare, che il riformismo fu contemporaneo alla sua approvazione ([174]).  Il governo, già di per sé caratterizzato da una responsabilità spersonalizzata, fu accusato di debolezza ed incapacità ([175]).  Soffrì un distacco costante dal Parlamento che rifiutava di votare leggi o ribaltava sistematicamente il veto del Consiglio.  Al tempo stesso, però, se l’esecutivo non era in grado di risolvere i problemi con agilità, il Parlamento era lento ed inefficace e si muoveva sotto la pressione esterna di fronte a problemi concreti che lo portavano a dettare una legislazione giudicata spesso discriminatoria o inopportuna ([176]). 

Ciò dimostrò ampiamente come avessero ormai perso ogni appoggio, sia la compartecipazione, che la composizione plurale dell’esecutivo.  Di fatto però, la compartecipazione si era dissolta con la soluzione dei problemi attraverso vertici di maggioranza – finendo così per accettare un organismo non costituzionale – oppure con l’astensione della minoranza nei casi che presupponevano una responsabilità di governo ([177]).

La resistenza al sistema colegiado andò via via crescendo nella collettività e si aggravò, così come avvenne nel 1932, quando si presentò una complessa crisi economica-sociale che colpì l’Uruguay.  In particolare, la riforma fu additata come un modo per eludere i gravi problemi del Paese, sopra tutti : l’inflazione crescente, gli scioperi dei dipendenti pubblici e la nascita dei quartieri dormitorio come conseguenza dei movimenti migratori ([178]).  Da parte sua, il Consiglio Nazionale di Governo finì con l’arroccarsi in estenuanti dibattiti che consentirono alle frazioni interpartitiche di paralizzare l’autorità dell’esecutivo, proprio nel momento in cui il Paese abbisognava di una guida. 

Il sistema colegiado esigeva dei partiti politici organizzati e disciplinati, ma, durante il periodo della sua applicazione, coincise con una forte frammentazione dei partiti tradizionali, sino al punto di paralizzare l’azione di governo in determinati momenti.  Il problema non era, quindi, tanto del Colegiado ma dei movimenti, e logicamente, né la crisi politica, né quella economica potevano essere superate dalla riforma costituzionale. 

Più in specifico, l’accordo che fu all’origine della Costituzione soffriva dell’errore di aver legittimato l’ingerenza dei partiti nell’amministrazione.  Infatti, il governo, con la partecipazione sia dei due maggiori partiti politici, sia del Consiglio di governo, nominava, durante gli anni Cinquanta, i membri dei consigli degli enti autonomi e dei servizi decentralizzati statali nella proporzione di tre/quattro colorados ogni due/tre blancos ([179]).  Ciò favorì la collaborazione tra i due partiti ([180]), ma determinò anche l’inefficienza di alcuni servizi pubblici come l’elettricità, telefoni, ferrovie, poste, banche, ecc.  Infatti, tale filosofia relativa al sistema di divisione a quota fissa, proprietà dei partiti, fece perdere al regime gran parte del suo prestigio, determinando una politicizzazione distorta dell’amministrazione pubblica, la sua mediocrità d’azione ed la sua disorganizzazione.                      

La riforma fu così denunciata come una manovra politica delle due grandi macchine partitiche al fine di una ripartizione dei posti volta a creare “nove Presidenti” ([181]).  In particolare si criticò il fatto che questa divisione giunse – per la prima volta nella storia uruguayana – a toccare il potere giudiziario con la Corte Suprema ed il Tribunale del Contenzioso Amministrativo ([182]). 

La crisi economica di fine anni Cinquanta non si diresse però verso il Colegiado, bensì nei confronti del partito Colorado che fu pesantemente sconfitto nelle elezioni politiche del 30 novembre 1958 ([183]).  Si realizzò così la rotazione dei partiti al potere ed i blancos assunsero la guida del Parlamento e del Consiglio Nazionale di Governo ([184]), ma non seppero affrontare la crisi economica in maniera adeguata ([185]), così come i colorados dal 1952 al 1958.  Di fatto, i blancos ([186]) – costituiti da una coalizione dei vari sublemas (herrerismo, ruralismo ed Unión Blanca Democrática) che premevano per mantenere in piedi un apparato burocratico e statale inefficiente e clientelare – si ridussero ad un’organizzazione sempre meno in grado di mantenere uniti tutti i sottogruppi politici che ne costituivano la base di potere ([187]) ; ma nelle stesse identiche condizioni si trovava anche il Partito Colorado ([188]).  Ne seguirono nuove agitazioni sindacali ([189]) ed un ulteriore peggioramento dell’economia uruguayana ([190]), mentre i suggerimenti del Fondo Monetario Internazionale rimasero in buona parte inascoltati ([191]).  Gli uruguayani cominciarono a vedere una realtà che nel resto del Sudamerica era già nota, cioè l’insicurezza, con una polarizzazione sindacale e politica sempre più acuta accompagnata dai primi attentati : era la fine dell’autocompiacimento sotto la veste della “Svizzera del Sudamerica” ([192]).

Infatti, la decadenza dell’esecutivo collegiale del 1952 non fece che confermare la costante uruguayana, segnalata da Alisky, del “rifiuto del sistema di presidenza pluralista durante i periodi difficili” ([193]), perché sino a quando il prezzo mondiale della lana e della carne (cioè, le principali esportazioni uruguayane) si mantenne alto ([194]), il colegialismo funzionò, ma quando iniziò a diminuire ([195]) e nel 1958 il peso uruguayano perse gran parte del suo potere d’acquisto, seguendone una forte inflazione, il sistema entrò totalmente in crisi ([196]).

Nel 1958 furono così assoggettati a referendum due progetti di riforma costituzionale che abolivano il Colegiado, ma rimasero entrambi respinti ([197]).  Lo stesso accadde nel 1962 con un'altra proposta nuovamente rigettata ([198]).  Perciò, dopo la votazione del 1951, che accettò il regime colegiado, in altre due occasioni si registrò un’affermazione positiva della volontà del corpo elettorale in favore di questo sistema di governo.  Tuttavia, era difficile poter pensare che questo regime fosse assolutamente accettato in Uruguay e che l’opinione pubblica propendesse chiaramente per lo stesso.  Semplicemente si trattava di un sistema che funzionava grazie ad una sorta di acquiescenza prudente e critica dell’opinione pubblica, la quale non si era ancora convinta degli eventuali vantaggi concreti che potevano scaturire dai progetti che le erano stati sottoposti e, nonostante non fosse colegialista, pur criticando molti aspetti di questa forma di governo per motivi circostanziali, non votò in massa contro il Colegiado.

Successivamente, anche seguito dell’ampliamento del fronte anticolegialista ([199]), si tentò di raggiungere un accordo tra i vari partiti per concertare una riforma comune, ma ciò non diede gli esiti sperati.  Si riteneva, infatti, che il regime avrebbe potuto continuare ad esistere solo con un adattamento ed una modernizzazione delle strutture politiche partitiche, nonché con un cambio nella tecnica e nella forma di governo.

Quindi, i due partiti maggioritari, facendosi interpreti di un’opinione sempre più generalizzata, prepararono separatamente i propri progetti di riforma ([200]) che in generale si ispiravano alla carta del 1942, anche se quello Colorado favoriva l’accezione colegialista ([201]) mentre quello Nacionalista l’aspetto personalista ([202]).  Tuttavia, queste proposte non avevano molte possibilità di raggiungere l’alto quorum necessario per l’approvazione, che risultava di fatto superiore ai voti dei due partiti : si rischiava che un’opinione pubblica sicuramente maggioritaria nel suo complesso dividesse i suoi voti.  Si giunse così a nuovi colloqui tra le forze politiche, dai quali nacque la “Comisión Interpartidaria” ([203]) che presentò all’Assemblea Generale un progetto di riforma approvato dalle due Camere ([204]) e ratificato da un’ampia maggioranza popolare nel referendum del 27 novembre 1966 ([205]). 

La nuova Costituzione ([206]) – entrata in vigore il 1° gennaio 1967 – rispondeva ad una necessità di cambiamento e di adeguamento dell’organizzazione dello Stato alle nuove sfide al fine di rendere possibile una politica più dinamica ed efficace ([207]).  Nella sostanza reintroduceva il sistema presidenziale con forti influssi parlamentari ([208]), poiché il Presidente nominava un Consiglio di undici Ministri, politicamente responsabili anche dinanzi al Parlamento bicamerale, che poteva censurarli individualmente o collettivamente, a maggioranza assoluta dei componenti ([209]).  Tale carta costituzionale, con numerose e rilevanti modifiche, ha quindi protratto la sua esistenza sino ad oggi ([210]), mantenendo un’ampio appoggio popolare e restando sospesa solamente durante il periodo in cui il potere fu assunto dai militari (1973-1985) ([211]).

Questo stava ancora una volta a dimostrare che, spesso, in Uruguay, “la storia suole mascherarsi da riforma costituzionale” ([212]), quasi ponendosi come un tratto distintivo della politica uruguayana, una componente essenziale nello stile della sua evoluzione ([213]).

 

 

5.   LA COMPARAZIONE TRA IL “PRIMO” ED IL “SECONDO” COLEGIADO

 

L’Uruguay si può ritenere, a buon diritto, come uno dei paesi sudamericani che hanno goduto per lungo tempo di governi costituzionali, a volte presidenziali ed a volte collegiali.  In particolare questi ultimi del 1918 e del 1952 furono il risultato di accordi tra i due partiti principali al fine di condividere l’esercizio delle responsabilità e del potere.  Tali formule consentirono l’integrazione delle minoranze nel governo mediante la legge elettorale proporzionale che permise la formazione di coalizioni ed alleanze di differenti gruppi politici (sublemas) nel cosiddetto sistema dei lemas o liste, sistema che, assicurando il potere ai partiti maggioritari, il Blanco ed il Colorado, permetteva anche e permette tuttora di realizzare liste con la partecipazione delle minoranze sotto un unico simbolo (lema). 

Tuttavia, sino alla carta costituzionale del 1966, l’organizzazione del potere esecutivo uruguayano fu oggetto di forti polemiche.  Mentre altri aspetti dell’ordinamento costituzionale erano unanimemente accettati nel Paese, e potevano considerarsi come un dato acquisito che non si poteva pensare di mutare, al contrario, l’organizzazione dell’esecutivo, che aveva subito una serie di alterazioni nella storia politica dell’Uruguay, non era ancora una questione sulla quale vi fosse un accordo nell’opinione pubblica.  Si protraeva, così, un problema nel quale i giuristi, i politici e gli accademici, si dividevano nell’apprezzamento dei fatti, criticando o elogiando il sistema del Colegiado introdotto nel 1952 e ancor prima, sia pure in forma diversa, nel 1918.

Tuttavia, come chiaramente si deduce da quanto suesposto, esistono delle differenze sensibili tra i sistemi colegialisti delineati dalla carta costituzionale del 1918 e da quella del 1952, che occorre individuare e sviluppare, tenendo presente che l’esecutivo colegiado poteva essere positivo o negativo, degno d’imitazione o meno, ma ogni conclusione deve necessariamente risultare dall’analisi dell’esperienza e della realtà concreta alla quale il sistema è stato applicato.  Infatti, risulta privo di significato, con riguardo all’esperienza uruguyana, difendere o attaccare il Colegiado sulla base di un criterio meramente giuridico o costituzionale, visto che soprattutto le critiche devono essere analizzate tenendo conto della realtà politica del Paese.

Il punto essenziale alla base dei due Colegiado era il regime della “compartecipazione forzosa” tra i due partiti principali.  Così, come già affermò il Consiglio di Stato uruguayano nel parere che motivò la riforma costituzionale del 1942 : “la compartecipazione presuppone la collaborazione e la concordanza dei fini fondamentali, anche se resta la discrepanza sui mezzi pratici o contingenti per raggiungere questi scopi” ([214]). 

Il primo regime era senza dubbio molto più complicato : in esso compartecipavano al potere esecutivo due istituzioni, il Presidente della Repubblica ed il Consiglio Nazionale di Amministrazione, per il quale, non a torto, si era affermato che stabiliva un esecutivo duale o bicefalo ([215]), mentre nella Costituzione del 1952 l’esecutivo era uno soltanto, anche se collegiale, carattere che, nel 1918, corrispondeva al Consiglio, ma non alla Presidenza che era invece unipersonale. 

Inoltre, né nell’una, né nell’altra formula, i Ministri costituivano collegio o, comunque, formavano realmente un’unità distinta ed autonoma, ma se nel primo caso esistevano due classi di Ministri dipendenti da altrettante autorità, nel secondo caso esisteva un solo organo di governo.

Nel 1918 i Ministri non rispondevano dei loro atti, se non davanti all’autorità esecutiva che li aveva investiti della carica ; nel 1952 rispondevano, invece, politicamente dinanzi all’assemblea, il cui voto di censura equivaleva alla destituzione.  In particolare, per Stokes, disconoscere il significato ed il valore di questa differenza equivarrebbe a non comprendere la base politica reale della riforma del 1952, né il vero obiettivo di quella del 1918, in relazione al radicamento che in Uruguay aveva raggiunto la responsabilità ministeriale ([216]).  Infatti, al fine di caratterizzare il sistema colegiado in Uruguay si può dire che esso era, in primo luogo, un sistema collegiale o pluripersonale di organizzazione del potere esecutivo, opposto in ciò ai regimi unipersonali, ma, al tempo stesso, era anche un regime che aveva elementi tipici del sistema parlamentare, dato che i Ministri potevano essere censurati dall’Assemblea Generale ([217]).

Nel 1918 esisteva quindi una direzione dello Stato unipersonale, visto che, nonostante non fosse stata denominata in tal modo, tra le sue funzioni ne annoverava alcune come la rappresentanza dello Stato all’interno ed all’estero, che denunciava i contorni di questa figura istituzionale.  Nel 1952, invece, la guida del Paese era radicalmente collegiale ed il Presidente del Consiglio Nazionale di Governo era solamente un primus inter pares per l’attività interna dell’organo. 

Circa il sistema delle relazioni tra l’esecutivo ed il legislativo si può dire che esse erano analogamente stabilite in entrambi i testi, anche se non basterebbe la responsabilità politica prevista nella Costituzione del 1952 per giungere a definire come nettamente presidenzialista il sistema del 1918, né come parlamentare puro.  Parrebbe, tuttavia, che la carta del 1952 sia più incline al parlamentarismo classico, tenuto anche conto del fatto che, tra le altre cose, le due Costituzioni si differenziano per l’identità democratica di origine, cioè il suffragio universale diretto che nel 1918 era, invece, solamente maschile ([218]).

Inoltre, possiamo dire che la Costituzione del 1952 disciplinò le relazioni tra i poteri legislativo ed esecutivo in una forma molto ibrida, con elementi tipici dei sistemi parlamentare, direttoriale ed anche convenzionale, rafforzando i poteri del Parlamento a fronte della soppressione della facoltà di scioglimento. 

Di certo il sistema del Colegiado in Uruguay diede una contribuzione positiva alla stabilità politica, all’ordine costituzionale, allo Stato di diritto, alla lotta contro l’ambizione personalista, l’arbitrarietà e la volontà di comando e di potere.  Allo stesso modo non c’è dubbio che, nonostante tutte le sue limitazioni, la riforma costituzionale uruguayana è stata uno dei più notevoli tentativi di costruire, in pieno XX secolo, uno Stato di diritto in Sudamerica.  Tuttavia, queste formule politiche non impedirono che negli anni Settanta, di fronte alla critica situazione sociopolitica del paese, si imponesse a poco a poco la supremazia dei militari.

Infine, volendo brevemente analizzare l’aspetto sociologico uruguayano si può affermare che in questo Paese – definito come “una terra utopistica” ([219]), viste alcune circostanze che facevano dello stesso una piccolo Paese della cuccagna – ebbe modo di fiorire uno Stato ben strutturato ([220]), che ricordava straordinariamente le città-Stato dell’antico mondo grecolatino e del basso Medioevo italiano.  Non a caso se richiamiamo l’articolo 1 della Costituzione del 1942, conservato integralmente nel testo del 1952, esso affermava che : “La Repubblica dell’Uruguay è l’associazione politica di tutti gli abitanti compresi all’interno del suo territorio”.  Effettivamente, lo Stato uruguayano era una creazione eminentemente politica derivata dagli equilibri internazionali, nonché l’associazione politica ben organizzata tra persone di ascendenza sociale differente, compensata dall’omogeneità culturale ed ideologica ([221]).  Inoltre, come acutamente osservato da Fraga Iribarne, il predominio di una grande città centralizzatrice e dominante sulla campagna, che le serviva da sostentamento, riuscì a “fare dei grandi greggi di animali qualcosa di equivalente alle masse di schiavi che sostenevano le brillanti democrazie cittadine dell’antichità” ([222]).  A sua volta, questa centralizzazione urbana condusse, in assenza dello spirito liberale, ad una forte dose di collettivizzazione, non dissimile dal socialismo liberaldemocratico dei paesi scandinavi : ecco perché si è parlato anche di una “Danimarca sudamericana” ([223]), visto che in un mondo come quello degli anni Cinquanta del XX secolo, l’Uruguay si presentava come un Paese relativamente felice nelle sue originali relazioni politiche ([224]), anche se poi le stesse non ebbero vita duratura.

 

 

6.   IL COLEGIADO URUGUAYANO IN RAPPORTO AL CONSIGLIO FEDERALE SVIZZERO

 

Molto spesso si afferma, e non senza ragione, che la Costituzione elvetica – e soprattutto per quanto riguarda l’organizzazione dell’esecutivo – ricevette come influenze principali la Costituzione francese del 1795, nonché quella nordamericana del 1787 ([225]).  Tuttavia, come afferma il Rappard, anche se abitualmente suscita ed attrae più l’attenzione per lo straniero l’organizzazione dell’esecutivo rispetto a quella del legislativo, “presenta meno originalità quando lo si contempla, [l’esecutivo], alla luce della tradizione nazionale” ([226]).  Effettivamente, lo sviluppo storico della Svizzera ci fornisce molti antecedenti della sua organizzazione costituzionale vigente, nella quale si incontrano trasposti numerosi elementi dell’antico – ed ancora sussistente – governo dei Cantoni ([227]). 

Se andiamo a confrontare l’organizzazione dell’esecutivo in Svizzera ([228]) ed in Uruguay, vediamo da subito che la denominazione di “sistema direttoriale” con la quale suole citarsi quello svizzero si adatta meglio all’uruguayano, visto che in quest’ultimo vi è una caratteristica essenziale del sistema e cioè il fatto che i membri del Consiglio non sono assolutamente titolari di alcun dicastero o dipartimento. 

Il Consiglio svizzero, anche se non è politicamente responsabile davanti all’Assemblea federale è eletto da quest’ultima, costituendo, come correttamente afferma Hauriou ([229]), un autentico “potere delegato”, mentre il collegio uruguayano è eletto direttamente dal popolo, dando così luogo, rispetto al legislativo, ad un potere proprio di per sé.  A tale riguardo è interessante segnalare che così come il testo elvetico afferma che, “L’Assemblea federale esercita il potere supremo nella Confederazione, fatti salvi i diritti del Popolo e dei Cantoni” (art. 148, cpv. 1), e più avanti, “Il Consiglio federale è la suprema autorità direttiva ed esecutiva della Confederazione” (art. 174) ; il testo uruguayano del 1952 dichiara che “La sovranità della nazione sarà esercitata direttamente dal corpo elettorale […] ed indirettamente dai poteri rappresentativi stabiliti dalla Costituzione, in conformità alle regole stabilite dalla stessa” (art. 82). 

Il Consiglio svizzero non è di principio una rappresentazione federale, anche se il tema fu molto discusso in sede di Assemblea costituente, ma nel complesso lasciò una traccia il criterio rappresentativo cantonale, che si riflette nell’art. 96 della Costituzione del 1874, relativo alla già richiamata “clausola cantonale”, ora sostituita dal dettato dell’art. 175, cpv. 4, e nelle consuetudini etniche per cui gli scranni del Consiglio federale sono proporzionalmente ripartiti fra le varie entità linguistiche, religiose e cantonali, come meglio indicato nel capitolo precedente ([230]). 

Non è però possibile addurre queste peculiarità del Consiglio svizzero al fine di relazionarle direttamente, come caratteristiche differenzianti, con il Consiglio uruguayano, perché il presupposto storico giuridico e federativo non è presente nel paese sudamericano, mentre il suo centralismo rappresenta in maniera evidente un elemento di maggior coesione ed omogeneità del collegio uruguayano rispetto a quello elvetico.

La presidenza del Consiglio federale svizzero non si può certamente paragonare con la direzione unipersonale dello Stato o del potere esecutivo : entità, pertanto, inesistente tanto in Svizzera, come in Uruguay.  Ma nella prima la presidenza è meglio costruita ed istituzionalizzata per tre ordini di motivi :

1)  perché, come si vedrà più avanti, questo deriva dal quadro delle sue concrete competenze ;

2)  perché la minore omogeneità del Consiglio svizzero concede virtualmente  al Presidente delle maggiori possibilità di procedura di tipo unificatore ;

3) perché la divisione funzionale in Dipartimenti provoca un più frequente intervento di coordinamento politico ed amministrativo.

Non si deve però dimenticare che, se costituzionalmente l’organo uruguayano comprende diversi partiti politici, non è da meno quello svizzero, dove solitamente sono sempre eletti i consiglieri che danno rappresentazione alle diverse posizioni e tendenze.  Per il resto, il fatto che il Presidente elvetico sia eletto ogni anno dall’Assemblea, cosa che non è avvenuta in Uruguay, fa risaltare di più la sua figura.  Come contropartita si potrebbe argomentare che la Presidenza uruguayana può vantare il sistema dell’ordine di votazione da parte del popolo, per cui l’autorità di origine è ancora maggiore ; argomento di peso, se non teniamo presente il fatto che l’elezione del Presidente svizzero presuppone una concreta selezione realizzata ogni anno da parte dell’organo che esercita l’autorità suprema, mentre l’assegnazione della carica uruguayana è meramente automatica ([231]).

Una comparazione più approfondita ci porta a studiare la posizione generale di entrambi i Consigli nel rispettivo quadro costituzionale complessivo ed a soffermarci sulle competenze e le funzioni del Consiglio svizzero, come abbiamo fatto con quello uruguayano.  In particolare, però, si può segnalare che la posizione politica costituzionale del sistema sudamericano risulta più rilevante di quella dell’elvetico, anche se non va dimenticato il sempre più crescente potere accentrante dell’Assemblea federale ([232]) e delle sue enormi possibilità di azione attraverso il cd. “diritto di necessità”.

Anche se originariamente l’idea di Batlle Ordóñez, volta ad organizzare un potere esecutivo direttoriale, fu molto influenzata dallo studio diretto delle istituzioni svizzere, il Consiglio Nazionale di Amministrazione, così come previsto nella Costituzione del 1918, aveva differenze fondamentali con il Consiglio federale elvetico.  Forse è sufficiente segnalare, tra le altre ovvie difformità, che, mentre il Consiglio uruguayano operava all’interno di un regime presidenziale, visto che, di fatto, non esisteva la responsabilità politica dell’esecutivo di fronte al Parlamento, il Consiglio federale svizzero agiva ed agisce tuttora nell’ambito di un sistema definito come “direttoriale”.  A ciò va aggiunto il fatto fondamentale per cui, nella Costituzione uruguayana del 1918, erano contemplati dei Ministri designati dal Consiglio di Amministrazione, mentre nel regime svizzero ogni consigliere federale è titolare di un dipartimento ministeriale.

Le stesse differenze segnalate tra il Consiglio Nazionale di Amministrazione nella Costituzione del 1918 ed il Consiglio federale svizzero possono applicarsi nei riguardi del Consiglio Nazionale di Governo del 1952, con la differenza che mentre il Consiglio creato nel 1918 funzionava all’interno di un sistema in cui non esisteva il controllo politico del Parlamento nei confronti dei Ministri, il collegio di governo della Costituzione del 1952 operava in un regime che si poteva definire – con una certa approssimazione – parlamentare.

In particolare, facendo un parallelo tra la carta uruguayana del 1952 ed il sistema svizzero, fra le analogie possono essere brevemente indicate le seguenti :

1)  in ambedue i sistemi c’è un organo collegiale al vertice dello Stato (Consiglio Nazionale di Governo o Consiglio federale) ;

2)  parimenti, sussistono due Camere (la Camera dei Rappresentanti e quella dei Senatori in Uruguay ed il Consiglio Nazionale e quello degli Stati in Svizzera) che esercitano talune funzioni congiuntamente (come Assemblea Generale o Assemblea Federale) ;

3) infine, in ambedue i Paesi, sono state accolte delle elaborate procedure per la rappresentanza proporzionale delle minoranze nelle assemblee parlamentari.

      Tuttavia, ad un più attento esame, le diversità appaiono davvero sostanziali :

1)      mentre il Consiglio federale svizzero esplica, collegialmente, le funzioni proprie del Capo dello Stato e, attraverso l’attività individuale di ognuno dei suoi sette componenti, le funzioni normalmente attribuite ai diversi ministri, nell’Uruguay (che, per di più, non è certo uno Stato federale, ma presenta una struttura unitaria assai centralizzata, accentuatasi con il sistema vigente a partire dal 1934) sussiste uno sdoppiamento di organi a tale proposito – e quindi con maggiore analogia con quanto avveniva nel Direttorio post-rivoluzionario francese – giacché vi sono Ministri nominati e revocati dal Colegiado (Ministri obbligati a dimettersi anche quando incorrano in un voto di sfiducia da parte della maggioranza assoluta dell’Assemblea Generale) ;

2)      mentre i consiglieri federali svizzeri non possono essere rimossi dalla loro carica durante i quattro prefissi anni di funzione, ad opera delle Camere – se non nelle particolari ipotesi di sopravvenuta incapacità  fisica o civile – i membri del Colegiado, invece, possono essere accusati da 2/3 dei componenti della Camera dei Rappresentanti dinanzi al Senato per vari gravi reati, e già la semplice formulazione di siffatta accusa determina la loro decadenza ;

3)  i consiglieri federali – salvo eccezionali eventualità – sogliono essere sempre riconfermati in carica per un numero indefinito di anni (nell’intento di assicurare, per tale via, una profittevole continuità nella gestione dell’amministrazione statale), mentre i componenti del Colegiado non possono essere rieletti se non decorso un successivo periodo di 4 anni ;

4) mentre il sistema svizzero offre ormai una salda garanzia di continuità e pacifica evoluzione anche per il futuro, in quanto esistente da oltre 150 anni, il Colegiado (soprattutto nella sua forma più radicale del 1952) è stato per l’Uruguay un’esperienza totalmente nuova che non ha saputo radicarsi e conservarsi nel tempo.

Infine, in tema di forma di Stato in cui il governo collegiale è inserito, relativamente all’Uruguay merita di essere ricordato che la riforma costituzionale del 1952 ampliò, come già si è avuto modo di esporre, i compiti dei governi dipartimentali, attribuendo loro una competenza nella determinazione di determinate imposte – già peraltro assegnata dalla Costituzione del 1918 ([233]) – al contrario di quanto fece la carta del 1934 che pose fine all’autonomia finanziaria, eliminando la suddetta facoltà e limitando le risorse dei Dipartimenti ([234]).

Ciò significava la legittimazione parziale di quella che, nel paese, è stata definita come l’autonomia dipartimentale, la quale aveva costituito una rivendicazione costante della popolazione uruguayana rurale, sin dal 1934.  Tuttavia, questa riforma del sistema delle autonomie entrò in vigore solo il 15 febbraio 1955 ([235]), al fine di garantire una fase di adeguamento alla nuova normativa, dopo che il sistema molto centralizzato creato dalla Costituzione del 1934 e basato sulle Intendenze e le Giunte in sostituzione delle Assemblee e dei Consigli dipartimentali, si dimostrò del tutto inefficace ([236]).

In ogni caso, il passaggio ad una forma di Stato decentrato, anche se non federale come nel caso svizzero, non è stata di alcun aiuto ai fini del buon funzionamento del secondo Colegiado uruguayano che non ha trovato condizioni ideali nemmeno a livello locale dove fu trasposto dalla carta del 1952.

 

 

 


 

NOTAS:

 

[1] Il territorio che oggi forma parte dell’Uruguay fu scoperto nel 1516 dall’esploratore spagnolo Juan Díaz de Solís, primo europeo che percorse il Río de la Plata.  In quello stesso anno, i membri della sua spedizione morirono per mano degli indigeni, i charrúas, tribù che nel XVI secolo si oppose ai tentativi di colonizzazione del territorio.  Il primo insediamento stabile fu realizzato dagli spagnoli nel 1624, a Soriano, sul Río Negro.  Cfr. N.M. MARENALES, Cenni storici, in AA.VV., Uruguay, Roma, I, 1964, 9-41.

[2] Una prima Giunta di governo si era costituita a Montevideo già nel 1808, cfr. AA.VV., Documentos relativos a la Junta Montevideana de Gobierno de 1808, Montevideo, I-II, 1958.  Successivamente, la provincia di Montevideo si sottrasse dalla dominazione spagnola nel 1814, ma i disordini e l’anarchia che ne seguirono servirono da pretesto al Portogallo per invaderla ed occuparla militarmente nel 1816.  Un’assemblea di deputati, eletti sotto l’influenza lusitana, il 19 luglio 1821, decretò l’annessione a Lisbona sotto il nome di “Provincia Cisplatina”, mentre l’anno seguente la provincia passò nelle mani del Brasile che nel frattempo si rese indipendente.  Il 24 giugno 1825 a San Fernando de la Florida, città a nord di Montevideo, i patrioti uruguayani proclamarono la dichiarazione d’indipendenza destinata però a rimanere fittizia in quanto il paese restava occupato ; a seguito della cd. Crociata dei Trentatré, guidata da Antonio Lavalleja, si formò un governo provvisorio di sei membri che decretò la separazione dal Brasile e l’annessione alle Provincie Unite del Río della Plata, guidate da Buenos Aires.  Il conflitto che ne seguì fu ampiamente favorevole alle Province Unite ma solo grazie alla mediazione inglese, guidata dal diplomatico Lord John Ponsonby, che propose la trasformazione della Banda Orientale in uno Stato autonomo, si giunse al trattato di pace del 1828 che sancì l’indipendenza della “Repubblica Orientale dell’Uruguay”.  Cfr. : H.H. MÉNDEZ, Breve storia dell’indipendenza, in AA.VV., op. cit., 65-78, che riporta anche il testo dell’accordo di pace ; J. DE TORRES WILSON, Brevísima historia del Uruguay, Montevideo, 1990, 20-23.

[3] Sulla storia della nascita dell’Uruguay cfr. : J.E. PIVEL DEVOTO, Uruguay independiente, Barcelona, 1949 ; A. GUILLOT-MUÑOZ, I precedenti della storia diplomatica, in AA.VV., op. cit., 79-90 ; J.E. PIVEL DEVOTO, A. RANIERI DE PIVEL, Historia de la República Oriental del Uruguay, Montevideo, 1966 ; H. HERRING, A History of Latin America from the Beginnings to the Present, New York, 1968 ; AA.VV., Historia uruguaya, Montevideo, 1975-1987 ; J.P. BARRÁN, B. NAHUM, Batlle, los estancieros y el imperio británico, Montevideo, 1979-1985 ; J.J. ARTEAGA, M.L. COOLIGHAN, Historia del Uruguay, Montevideo, 1992 ; E.M. NARANCIO, La independencia del Uruguay, Madrid, 1992 ; D. PIOTTI, A. TRAVERSONI, Historia del Uruguay. Siglo XX, Montevideo, 1993 ; R. FARAONE, J.A. ODDONE, B. PARIS DE ODDONE, Cronología comparada de la historia del Uruguay (1830-1945), Montevideo, s.d.  Al momento dell’indipendenza, l’Uruguay contava solo 74 mila abitanti di cui 14,5 mila nella capitale Montevideo.

[4] Il testo della Costituzione uruguayana, come previsto dal trattato del 1828, fu previamente approvato dalle due parti contraenti, nelle persone dell’Imperatore del Brasile e del Governatore di Buenos Aires.

[5] L’articolo 72 della Costituzione del 1830 prevedeva che : “Il potere esecutivo della Nazione è disimpegnato da una sola persona, avente la denominazione di Presidente della Repubblica Orientale del Uruguay”, fissando il suo mandato in quattro anni (art. 75), con divieto di rielezione immediata.  Era prevista, inoltre, un’Assemblea bicamerale composta dalla Camera dei rappresentanti, di 99 membri, e dalla Camera dei senatori, di 19 membri (divenuti poi 31 a partire dalla Costituzione del 1934), che insieme eleggevano il Capo dello Stato : si trattava, quindi, di un’elezione indiretta.  Il testo della carta del 1830, corredato di commentario, è contenuto in J. AROSEMENA, Constituciones políticas de la América meridional, Havre, 1870, 261-324 ; cfr. anche F.R. DARESTE, P. DARESTE, Les Constitutions modernes, 554-555 ; J.B. PONS, Le cinque Costituzioni, in AA.VV., op. cit., 43-46.

[6] Così fu rimarcato dal relatore del testo costituzionale del 1830, José Ellauri, cfr. H. GROS ESPIELL, El ejecutivo colegiado en el Uruguay, in “Revista de Estudios Políticos”, 1964, 158.  In particolare per i Ministri l’articolo 85 prevedeva che : “Per lo studio degli affari ci saranno le rispettive Segreterie di Stato, poste a capo di uno o più Ministri, che non potranno superare il numero di tre.  Nelle legislature seguenti potrà adottarsi il sistema dettato dall’esperienza o che richiedano le circostanze.”

[7] Descrive bene questa situazione A. GROMPONE, La ideología de Batlle, secondo cui : “Il potere esecutivo nel nostro Paese, come in tutte le repubbliche sudamericane, si era organizzato teoricamente nelle costituzioni con il carattere unipersonale, capo supremo dell’amministrazione pubblica e dell’esercito e con iniziativa legislativa.  Si determinava l’indipendenza dei poteri legislativo e giudiziario e tutte le garanzie dottrinarie dei diritti individuali.  Apparentemente, l’azione del Presidente della Repubblica restava limitata dal controllo legislativo, che disponeva di un’arma terribile con il giudizio politico.  Nella realtà, la previsione dei costituzionalisti era risultata completamente defraudata : tutte le garanziee tutta l’indipendenza del potere legislativo e giudiziario naufragavano davanti alla volontà personale del Presidente della Repubblica che era al centro di tutta l’attività politica, amministrativa e legislativa del Paese”.

[8] Così, nel 1832, il conservatore Lavalleja si sollevò contro il colorado Fructuoso Rivera, primo Presidente dell’Uruguay, e nel 1836, quest’ultimo, rovesciò il blanco Manuel Oribe, che gli era succeduto l’anno precedente.  Cfr. : M. CANESSA DE SANGUINETTI, Rivera, un oriental liso y llano, Montevideo, 1976 ; J. DE TORRES WILSON, Oribe, el drama del Estado Oriental, Montevideo, 1976.

[9] I blancos o nacionales erano sostenuti dalle vecchie famiglie di allevatori-latifondisti, mentre i colorados rappresentavano l’Uruguay della lana, della produzione per il mercato estero, dei grandi proprietari-commercianti con stretti vincoli con il capitale straniero, cfr. F. FIORANI, I paesi del Rio de la Plata : Argentina, Uruguay e Paraguay in età contemporanea (1865-1990), Firenze, 1992, 37.  Sui partiti politici uruguayani, cfr. : J.T. FABREGAT, Los partidos políticos en la legislación uruguaya, Montevideo, 1949 ; ib., Los partidos políticos en la legislación uruguaya, Montevideo, 1950 ; J. MONEGAL, Esquema de la historia del Partido Nacional, Montevideo, 1959 ; O. BRUSCHERA, Los partidos tradicionales y la evolución constitucional del Uruguay, Montevideo, 1962 ; J.E. PIVEL DEVOTO, Historia de los partidos políticos en el Uruguay, Montevideo, 1962 ; J. CALATAYUD BOSCH, Grandeza y decadencia del Partido Nacional, Montevideo, 1971 ; C. AGUIAR, Elecciones y partidos, Montevideo, 1984 ; C. GERARDO, De la tradición a la crisis. Pasado y presente de nuestro sistema de partidos, Montevideo, 1985 ; F. APARICIO, Los partidos políticos, in “Base de la historia uruguaya”, Montevideo, 1987 ; A. COCCHI, Los partidos políticos y la historia reciente, in “Cuadernos de orientación electoral”, 1, 1989 ; ib., Un sistema político centenario, in ib., 1, 1989 ; C. PERELLI, Quién es quién en la política partidaria, in ib., 7-8-9, 1989 ; G. CAETANO, J. RILLA, Los partidos uruguayos y su historia, Montevideo, 1990 ; M. GROSSI, Sistema político y sistema partidario en Argentina y Uruguay, Notre Dame, 1991 ; M. ALCÁNTARA, I. CRESPO MARTÍNEZ, Partídos y elecciones en Uruguay (1971-1990), Madrid, 1992 ; G. CAETANO, Partidos políticos y sociedad civil en el Uruguay contemporáneo, in S. DUTRÉNIT, L. VALDÉS (cur.), El fin de siglo y los partidos políticos en América Latina, Iztapalapa, 1994 ; J.L. LANZARO, Los partidos uruguayos : del keyenesianismo criollo a un nuevo gobierno político, in S. DUTRÉNIT, L. VALDÉS (cur.), op. cit.  Un elenco degli attuali partiti presenti in Uruguay è reperibile in : http://www.georgetown.edu/pdba/Parties/Resumen/Uruguay/desc.html.

    Solo dal 1971 si è aggiunta una terza forza, cioè l’alleanza di centrosinistra Encuentro Progresista - Frente Amplio - Nueva Mayoria (comprendente : liberali, democristiani, centristi, socialisti, marxisti, comunisti, trozkisti ed ex Tupamaros), la quale, nel corso degli anni è andata crescendo (si veda il sito della coalizione : http://www.epfaprensa.org).  Nel 1989 riuscì a far eleggere l’alcalde mayor di Montevideo, mentre alle legislative del 27 novembre 1994 ottenne il 30,8% dei voti con 31 seggi alla Camera e 9 al Senato, a fronte del 31,4% del partito Blanco (31seggi alla Camera e 9 al Senato), e del 32,5% del Colorado (32 seggi alla Camera ed 11 al Senato), cfr. I. CRESPO MARTÍNEZ, P. MIERES, Las elecciones uruguayas de 1994 : continuidad en la transformación del sistema partidista, in “Revista de Estudios Políticos”, 1996, 1.  Quindi, nelle elezioni legislative del 28 novembre 1999, è diventato il primo partito uruguayano con il 38,5% di consensi (40 seggi alla Camera), ed il suo candidato alla Presidenza, Tabaré Ramón Vázquez Rosas, è andato al ballottaggio ottenendo il 44%.  Questo non è stato altro che il prodromo alla vittoria di Vázquez alle presidenziali del 31 ottobre 2004, nelle quali, a fronte di una partecipazione dell’89,6, ha ottenuto il 50,4% al primo turno (battendo Jorge Larrañaga del Partido Blanco che si è fermato al 34,3% e l’esponente del Partido Colorado, Guillermo Stirling, che non è andato oltre il 10,4%), con il Frente Amplio che si è confermato primo partito raggiungendo il 50,7% (52 seggi alla Camera e 17 al Senato), mentre i due movimenti tradizionali, blancos e colorados, si sono fermati rispettivamente al 33,6% (35 seggi alla Camera ed 11 al Senato) ed al 10,1% (10 seggi alla Camera e 3 al Senato).  Perciò, dal 1° marzo 2005, il centrosinistra è salito al potere dopo 175 anni di governo da parte dei due partiti storici del Paese.  I dati relativi alle più recenti elezioni legislative e presidenziali svoltesi in Uruguay sono riportati in : http://www.electionworld.org/uruguay.htm ; http://www.geocities.com/CapitolHill/Lobby/3535/country/uru.htm ; http://www.georgetown.edu/pdba/ Elecdata/Uru/uruguay.html.  Sul Frente Amplio, cfr. M. AGUIRRE BAYLEY, El Frente Amplio. Historia y documentos, Montevideo, 1985, nonché sulla sua vittoria del 2004, cfr. D. SANGALLI, Elezioni presidenziali in Uruguay, in : http://www.fondazione cum.it/doc.asp?type= last&idCategory=40.

[10] Dal 1839 al 1851 i “colorados” lottarono contro il dittatore argentino Juan Manuel de Rosas, alleato dei “blancos”, che fu battuto nel 1852 da una coalizione di brasiliani, uruguayani “colorados” e di argentini democratici guidati dal generale Urquiza.  Ancora, dal 1864 al 1870 si ebbe la guerra del Paraguay o della Triplice Alleanza, durante la quale brasiliani, argentini ed uruguayani si coalizzarono contro l’oppressione del dittatore paraguayano Carlos Antonio Solano López.

[11] Il Partido Colorado ed il Partido Blanco (il nome ufficiale è però quello di Partido Nacional, cfr. il sito del partito : http://www.partidonacional.com), iniziarono la loro attività, com’era frequente in America latina, con delle divergenze ideologiche minime.  Inizialmente, la differenza fu legata esclusivamente alla politica internazionale, e, soprattutto, alla guida del partito : il leader Colorado e quello Blanco, rispettivamente, Fructuoso Rivera (primo Presidente uruguayano, dal 6 novembre 1830) e Manuel Oribe (dal 1° marzo 1835) a cui succedettero nel Colorado : Joaquín Suárez, Venancio Flórez, Lorenzo Batlle e Máximo Santos, e nel Blanco : Juan Antonio Lavalleja e Bernando Prudencio Berro, tenuto conto che a partire dal 1865 e sino al 1959 vi fu il predominio dei colorados.  Successivamente, invece, la differenza iniziò ad avere un carattere strutturale (i colorados predominavano nella città, i blancos nella campagna), ed ideologica (i colorados più a sinistra), sussistendo la differenza fondamentale nell’ambito internazionale (i blancos, nazionalisti e sostenitori di un accordo con l’Argentina, i colorados filostatunitensi e favorevoli ad una versione interventista del panamericanismo).  Dopo settant’anni di lotte, alla fine del XIX secolo, si giunse ad un certo condominio politico : i colorados comandavano nella città, i blancos nella campagna, cfr. M. FRAGA IRIBARNE, Sociedad, política y gobierno en Hispanoamerica, Madrid, 1962, 248.  Si ricorda qui che alte cariche dello Stato uruguayano furono occupate da discendenti di immigrati italiani, in particolare si ricordano i Presidenti della Repubblica Tomás Berreta (1947), José Serrato (1923-1927) ed Julio María Sanguinetti Cairolo (1985-1990 e 1995-2000), rispettivamente di origini comasche, il primo, e genovesi, gli altri due, nonché il Presidente del Consiglio Nazionale di Governo, Benito Nardone (1960-1961), il cui padre nacque a Gaeta (LT), cfr. J.B. PONS, Vincoli storici fra l’Uruguay e l’Italia, in AA.VV., op. cit., 5-21.  Per la storia uruguayana e l’elenco completo dei Presidenti, cfr. : J.A. ODDONE, Tablas cronológicas. Poder ejecutivo - Poder Legislativo. 1830-1967, Montevideo, 1967, nonché : http://www.georgetown.edu/pdba/Executive/ Uruguay/pres.html ; http://www.presidencia.gub.uy/pages/historia.htm ; http://www.presidencia.gub.uy/pages/ presiduru.htm

[12] Cfr. V. TRIAS, Economía y política en el Uruguay contemporaneo, Montevideo, 1968, 70-71, secondo cui con la Costituzione del 1830, “l’oligarchia uruguayana coniugò il verbo costituzionalizzare”.

[13] Dei venticinque Governi che ressero il paese tra il 1830 ed il 1903, nove furono rovesciati, due furono liquidati per assassinio ed uno per ferite gravi del titolare, dieci resistettero con successo ad una o più rivolte e solo tre passarono indenni da violenze maggiori.  Il primo Presidente uruguayano che poté completare il suo mandato senza opposizione armata fu Julio Herrera (1890-1894).  Cfr. M. FRAGA IRIBARNE, La reforma de la Constitución uruguaya, in “Cuadernos hispanoamericanos”, Madrid, 1952, 30, 357.

[14] Del calibro, ad esempio, dell’argentino Juan Manuel de Rosas (1829-1852) o del paraguayano Gaspar Rodríguez de Francia (1814-1840).

[15] La guerra civile tra blancos e colorados si concluse nel 1897 con un compromesso per cui ai primi fu assegnato il controllo di 6 dei 19 Dipartimenti ed una rappresentanza minoritaria alla Camera dei rappresentanti.  In seguito a questo accordo l’Uruguay godette di una grande stabilità politica, senza contrasti, né lotte partitiche fino alla crisi degli anni Trenta del Novecento.

[16] Sull’evoluzione costituzionale uruguayana, cfr. : H. GROS ESPIELL, Esquema de la evolución constitucional de Uruguay, Montevideo, 1986 ; R. CAMPA, Le strutture politiche e amministrative, in AA.VV., op. cit., 96-98, 105-109 ; J.B. PONS, op. cit., 43-63 ; L.A. MUSSI AMBROSI, Bibliografía del Poder Legislativo : desde sus comienzos hasta el año 1965, Montevideo, 1967 ; G. DONATI, E. ROZO ACUÑA, Le Costituzioni dell’America latina, Roma, 2000, 435-456.

[17] Cfr. : E. ACEVEDO, Anales históricos del Uruguay, Montevideo, 1933-1936 ; S.G. HANSON, Utopia in Uruguay, New York, 1938, 3-48 ; F. DANOVARO, Sintesi etnico-economica, in AA.VV., op. cit., II, 23-116 ; C. GIAMBRUNO, Legislazione sociale, in ib., op. cit., 281-289 ; G. PENDLE, Uruguay, London, 1965, 2-49 ; A. ZUM FELDE, Proceso histórico del Uruguay, Montevideo, 1967, 82-100.

[18] La figura di Batlle è stata oggetto di diverse interpretazioni, cfr. : D. PELUAS, A. PIFFARETTI, Ideología batllista. Componentes y modelo, Montevideo, s.d. ; R.B. GIUDICI, E. GONZÁLEZ CONZI, Batlle y el batllismo, Montevideo, 1928 ; MORA GUARNIDO, Batlle y Ordoñez, Montevideo, 1931 ; A. GROMPONE, Batlle, Montevideo, 1938 ; F. PINTOS, Batlle y el proceso histórico del Uruguay, Montevideo, 1938 ; C.B. PAREDES, Batlle y el Colegiado, Montevideo, 1939 ; ANERA, Batlle y los problemas sociales del Uruguay, Montevideo, 1939 ; RODRÍGUEZ FABREGAT, Batlle el reformador, Montevideo, 1942 ; A. ARDAO, Batlle y Ordoñez y el positivismo filosófico, Montevideo, 1951 ; C. REAL DE AZÚA, El impulso y su freno. Tres décadas de batllismo, Montevideo, 1964 ; J.A. LOUIS, Batlle y Ordoñez : apogeo y muerte de la democracia burguesa, Montevideo, 1969 ; G, LINDAHL, Batlle, fundador de la democracia en el Uruguay, Montevideo, 1971 ; L.A. HIERRO LÓPEZ, Batlle, Montevideo, 1977 ; R. BAYCE, Cultura política uruguaya. Desde Batlle hasta 1988, Montevideo, 1989.  Questi lavori sono per la maggior parte opera di seguaci politici di Batlle.  Contra le idee di Batlle si possono vedere i capitoli che gli dedica J.A. RAMÍREZ, Sinopsis de la evolución constitucional, Montevideo, 1949, 78 ss., mentre le ombre della presidenza di Batlle sono indicati da J. SECCO GARCÍA, Constitución de la República Oriental del Uruguay, Montevideo, 1972, 158-159, che registra un aumento della corruzione e del clientelismo.

[19] Al “modello” batllista sono dedicati gli studi di M. VANGER, José Batlle y Ordoñez : The Creator of his Thimes. 1902-1907, Cambridge, 1963 ; ib., The Model Country. José Batlle y Ordóñez 1907-1915, Hanover, 1980.  Il credo batllista comprendeva quello che lo stesso Batlle definiva le “tre democrazie”, che costituivano una sorta di religione civile : la democracia política, che vedeva nell’autonomia comunale, la rappresentanza proporzionale e l’esecutivo colegiado ; la democracia económica, attraverso un forte grado di interventismo statale, e la democracia social, che comprendeva un laicismo ampio, ma non persecutorio, cfr. M. FRAGA IRIBARNE, op. cit., in “Cuadernos Hispanoamericanos”, cit., 357-358 ; ib., op. cit., 249.

[20] Nel processo di ampia attenzione al sociale portato avanti da Batlle, si devono ricordare : la creazione di una Sezione del Credito Rurale, nel 1912 ; la Legge sugli infortuni sul lavoro, 1914 ; l’indennizzo degli infortuni, 1920 ; la giornata di otto ore, 1915 ; il lavoro notturno, 1918 e 1920 ; le pensioni di vecchiaia, 1919 ; la pensione per gli impiegati e gli operai, 1919, ecc.  Correlato a ciò fu il processo di crescente stratificazione.  Nel 1911 si procedette alla nazionalizzazione del Banco de la República, e nello stesso anno fu creato il Banco de Seguros del Estado, completati entrambi con il Banco Hipotecario, nel 1912.  Del 1911 sono anche le Stazioni Agronomiche e l’Istituto di Pesca ; nel 1912 furono costituite le Centrali Elettriche di Stato, sancendo il monopolio dell’energia elettrica, l’Istituto di Chimica Industriale e l’Istituto di Geologia e Perforazioni ; nel 1915, l’Amministrazione Nazionale delle Tramvie e Ferrovie dello Stato ; nel 1916, l’Amministrazione Nazionale del Porto di Montevideo.  Cfr. : M. FRAGA IRIBARNE, op. cit., 249 ; altresì cfr. R.B. GIUDICI, E. GONZÁLEZ CONZI, Batlle y el batllismo, Montevideo, 1959, 300-340 ; R.H. FITZGIBBON, Uruguay : Portrait of a Democracy, New Brunswick, 1954, 122-134 ; H. FINCH, Historia económica del Uruguay contemporaneo, Montevideo, 1980.  Significativamente, M. ALISKY, El rechazo de la colegialidad integral en la Constitución de 1952, in “Revista mexicana de ciencias políticas”, 1969, 55, 81, afferma che : “Durante il regime di Batlle, la politica armata fu sostituita dalla politica elettorale, con il risultato di una stabilità nazionale che permise il miglioramento dell’allevamento e l’espansione dell’industria, […], Batlle rappresentava l’interesse di governo per l’operaio, l’anziano, il giovane ed il debole”.  Sul riformismo batllista, cfr. anche J.J. ARTEAGA, Breve historia contemporánea del Uruguay, México, 2002, 122-146.

[21] Tra le Presidenze di José Batlle y Ordóñez vi fu quella del colorado Claudio Williman (1907-1911).

[22] Cfr. D. ARENA, El pensamento de Batlle en acción, che spiega il processo interiore di Batlle : “All’inizio pensò che fosse sufficiente ridurre il potere della presidenza, rendendo meno appetibile, meno abbagliante, questo elemento perturbatore.  Ma spinto dalla sua tendenza naturale a cercare rimedi radicali per i grandi mali, optò per qualcosa di più decisivo : la soppressione totale della presidenza, perché questo e non altro determina in definitiva la creazione dell’esecutivo Colegiado”.

[23] Il potere esecutivo disimpegnato da un Consiglio, con la conseguente eliminazione della Presidenza della Repubblica, al fine di eliminare il potere personale, costituzionalizzando al tempo stesso la compartecipazione politica dei due partiti tradizionali al governo, non era un’idea nuova.  Già nel 1903, in un Congresso all’Università di Montevideo, si era sostenuta la necessità di riformare la Costituzione in questo senso, cfr. J.A. RAMÍREZ, op. cit., 82.  Inoltre, è ricordato anche il cd. progetto “minimo” del Partito Socialista del 1910 che, nel capitolo relativo alla riforma costituzionale, prevedeva che il potere esecutivo fosse attribuito ad una commissione esecutiva, sopprimendo la Presidenza della Repubblica, cfr. H. GROS ESPIELL, op. cit., 159.

[24] Già l’Assemblea Legislativa del 1907 aveva dichiarato di interesse nazionale la revisione del procedimento di riforma costituzionale ed ancora prima, nel 1904, il senatore nacionalista José Espalter presentò un progetto, anche se la procedura, secondo la Costituzione del 1830, era alquanto macchinosa perché prevedeva l’approvazione in tre legislature successive (artt. 152-159).  Nel 1909 furono proposte ben sette soluzioni, di minore complessità, adottandosi poi nel 1912 un procedimento di riforma relativamente comodo, tradotto nella Legge 28 agosto 1912.  Il nuovo sistema di revisione richiedeva la previa dichiarazione di convenienza nazionale della riforma da parte dei due terzi dei voti delle Camere, a cui seguiva la convocazione di una Convenzione Nazionale Costituente incaricata di studiare le modifiche, che, se approvate a maggioranza assoluta dei voti, erano assoggettate all’approvazione popolare.  Il processo che portò alla Costituzione del 1918 iniziò con la Legge 9 settembre 1912 che dichiarò la convenienza nazionale di riformare la carta. 

[25] J. BATLLE ORDÓÑEZ, Apuntes sobre el Colegiado, in “El Día”, 4 marzo 1913.  Gli “Apuntes” sono pubblicati anche in : J. BATLLE ORDÓÑEZ, Batlle y el Colegiado, Montevideo, 1939 ; J.A. RAMÍREZ, op. cit., 82 ss.  A proposito del giornale “El Día” ricordiamo che fu l’organo di stampa di maggior potere politico che vi fu in Uruguay ; la sua forza consistette nel rappresentare il prestigio di Batlle attraverso la sua lunga ed intensa vita politica, dato che la sua parola di “El Día” era la parola di Batlle ; la sua propaganda segnò la direzione alla massa.

[26] In Uruguay non si utilizzò mai l’espressione “governo direttoriale” o “plurale” ; in luogo di esse è stata sempre adottata quella di “esecutivo colegiado” o semplicemente “colegiado”.

[27] Nel discorso pronunciato davanti alla Convenzione nazionale del suo partito, il 25 maggio 1916, Batlle y Ordóñez spiegava così la riforma del potere esecutivo : “[…] La riforma che vi raccomanda il Comitato Esecutivo nazionale è ispirata a questo proposito.  Il mio massimo impegno a progettarla tese ad eliminare dai nostri codici le leggi che conferiscono ad un solo uomo i mezzi volti ad esercitare la totalità del potere pubblico ed inoltre puntò a conferirla ad un numero molto considerevole di cittadini e, in definitiva, al Paese stesso.  In tutto quello che ho progettato si troverà evidenziata questa intenzione.  Soltanto l’avversa passione politica, infiammata dall’ardore della lotta, potrà negare di riconoscerlo.  A questo scopo propende l’istituzione del governo Colegiado, in cui non resta spazio alcuno per il comando personale, né per l’interesse, il rancore e l’errore individuale che s’impadronisce del potere, per quanto sia altolocato il personaggio o grande che sia il suo prestigio, né per le decisioni sconsiderate ; e, al contrario, tutte le porte sono aperte per l’imparzialità, l’altruismo, la riflessione, l’illustrazione di tutte le questioni, la deliberazione comprensibile, il patriottismo, che saranno sempre accolti con onore in un’assemblea composta dai nove cittadini più prestigiosi della Repubblica”, cfr. H. GROS ESPIELL, Las Constituciones del Uruguay, Madrid, 1956, 60-61.

[28] Alla corrente batllista, seguace delle idee di Batlle Ordoñez, si contrappose quella cd. riverista, costituitasi  nel 1913, in quanto contraria al colegialismo e fautrice di un parlamentarismo all’inglese, per cui chiedeva solo alcune modifiche alla carta del 1830.  Si ricorda inoltre, che accanto ai partiti Colorado e Blanco o Nacional, con le loro varie correnti, esistevano anche il partito della Unión Cívica, di idea conservatrice, fermo difensore della Costituzione del 1830 ed il Partido Socialista del Uruguay, nato nel 1910, nel quale non si era ancora prodotta la scissione che avrebbe dato vita, dieci anni dopo, al Partido Comunista.   

[29] Il Partido Blanco era inizialmente contrario a qualsiasi tipo di riforma alla Costituzione del 1830, ma a seguito della vittoria nelle elezioni per la Costituente del 1916 presentò alcuni progetti attraverso il costituzionalista Wáshington Beltrán, secondo cui “ogni idea che difenda la democrazia, favorisca la Repubblica, garantisca il diritto, benefici o pregiudichi il nostro partito, avrà il nostro appoggio”, cfr. Proyecto de los Convencionales Nacionalistas, in “Diario de Sesiones de la Honorable Convención Constituyente”, I, 162, 180 ; Proyecto de Vazquez Acevedo, op. cit., 200 ; Proyecto de Duvimioso Terra, op. cit., 396.

[30] Inizialmente alcuni esponenti del Partido Blanco manifestarono di non essere contrari ad un governo di tipo collegiale, ma articolato in modo diverso rispetto alla proposta di Batlle.  Successivamente prese il sopravvento l’opposizione personale a Batlle, visto che i blancos lo odiavano per la sconfitta del 1904, ma lo odiavano anche : il cattolicesimo per la persecuzione di cui aveva fatto oggetto la Chiesa ; gli elementi conservatori per il suo riformismo sociale ; di fatto nessun altro uomo politico uruguayano giunse ad essere tanto odiato dai suoi avversari come Batlle.  Cfr. A. ZUM FELDE, op. cit., 1963, 252.

[31] Cfr. ib., op. cit., 249.

[32] Batlle concluse il suo intervento di risposta alle critiche affermando che : “[…] conviene constatare che l’opposizione al progetto di Colegiado da parte degli uomini di un certo spessore politico non si deve a sincere convinzioni, bensì alle loro ambizioni alla carica presidenziale per la quale conosco più di tre dozzine di aspiranti”, cfr. ib., op. cit., 250.

[33] Le modalità di elezione della Convenzione Nazionale Costituente furono dettate dalla Legge 1° settembre 1915, che stabilì il sistema di rappresentanza proporzionale ed il voto segreto.

[34] Le elezioni della Costituente del 30 luglio 1916 furono ostili alla riforma ed al suo governo : la Convenzione, riunita il 21 novembre, era, infatti, a maggioranza anticolegialista (105 seggi ai blancos, 82 al battlismo colegialista, 25 ai colorados anticolegialisti e 6 ai partiti minori), cfr. J. DE TORRES WILSON, Brevísima historia, cit., 43.  Su questo influì l’applicazione, per la prima volta nel Paese, del sistema di voto segreto, a dimostrazione di quanta fosse la forza della coercizione statale sulla volontà dell’elettorato nelle occasioni anteriori, cfr. J. SECCO GARCÍA, op. cit., 191.  La Convenzione sapeva, inoltre, di avere davanti a sé un referendum per l’approvazione della riforma e non poteva dimenticare che il Governo aveva la facoltà di impedire, nei fatti, che il popolo votasse con libertà e senza coercizioni la consultazione.  A ciò si aggiunse la presentazione di un progetto di legge di disciplina del referendum che “assicurava la contraffazione della volontà nazionale”, stabilendo che per l’approvazione della riforma fosse necessaria la maggioranza del totale degli iscritti al voto (cfr. Progetto Buero-Martínez Thedy, in J.A. RAMÍREZ, op. cit., 91).  Ciò significava computare come suffragi negativi gli astensionisti, con l’aggravio che un registro elettorale imperfetto implicava conteggiare come voti contrari anche i deceduti non cancellati, gli assenti, nonché gli apolitici ed i disinteressati.  In tali condizioni, dopo l’approvazione di questo progetto di legge da parte della Camera dei rappresentanti, era evidente che tutta l’opera della Convenzione sarebbe crollata, cfr. H. GROS ESPIELL, op. cit., 64.

[35] Da parte sua, il Presidente succeduto a Batlle, cioè Feliciano Viera (1915-1919) appoggiò la riforma, così come le due Camere che emersero dal voto del 14 gennaio 1917.  In tal modo, si scontrarono un Parlamento colegialista con una Costituente che era del tutto contraria a quest’idea.

[36] Il processo della riforma che portò al primo Colegiado uruguayano è stato esaminato da M.C. MARTÍNEZ, Ante la nueva Constitución, Montevideo, 1919.  I dibattiti della Convenzione Nazionale Costituente sono reperibili nel Diario de Sesiones de la H. Convención Constituyente de 1917, Montevideo, 1918.

[37] Sugli accordi del cd. Pacto de los Partidos, anche e non solo con riferimento all’organizzazione del potere esecutivo, cfr. : J.P. MASSERA, Algunas consideraciones relativas a la historia constitucional y política del Uruguay, cap. VII ; E.I. ORIBE, La Reforma de 1917 y la Constitución de 1918, in “La Comisión Permanente”, Montevideo, II, 1945, 65 ss. ; J. JIMÉNEZ DE ARÉCHAGA, La Constitución nacional, Montevideo, 1946, 62-66 ; J.A. RAMÍREZ, op. cit., 92.  Un apprezzamento critico di questo processo può leggersi in L.M. LAFINUR, La acción funesta de los partidos tradicionales en la reforma constitucional, Montevideo, 1918, 136 ss.  Con questo accordo poterono così essere salvaguardate le conquiste civiche raggiunte dal Paese : il batllismo accettava il riconoscimento costituzionale delle garanzie essenziali sull’obiettività del suffragio, mentre il Partido Nacional faceva concessioni circa l’organizzazione collegiale del potere esecutivo.

[38] La condizione sine qua non di questo patto era l’eliminazione di Batlle dal primo organo collegiale di governo, garantita dal diritto di veto che si concesse ai partiti durante la prima elezione dei membri.  Inoltre, attraverso una norma costituzionale che prevedeva la necessità di attendere due mandati presidenziali al fine della rielezione di un cittadino, si impediva il ritorno di Batlle al potere. Così, quando, all’inizio del 1919, quest’ultimo giunse a minacciare di ricandidarsi ad un terzo mandato presidenziale, qualora il suo progetto di governo non fosse rimasto adottato, i blancos ed i colorados dissidenti lo approvarono immediatamente.  Non a caso, alcuni hanno sostenuto che : “Nè Napoleone, né Ataturk, né Gandhi, ebbero tanta influenza nel Paese che ciascuno di essi diresse, come quella che ebbe Batlle in Uruguay”, cfr. : L.C. BENVENUTO, Breve hístoria del Uruguay, Montevideo, 1967, 99 ; R.H. FITZGIBBON, op. cit., 122-124.

[39] Cfr. RUIZ DEL CASTILLO, Adición a la traducción de Maurice Hauriou, Principios de derecho público y constitucional, Madrid, 1928, 427 ss.

[40] I costituzionalisti dell’epoca classificarono questa forma di governo come nuova, non solo per la biforcazione dell’esecutivo, ma anche per la peculiarità delle relazioni con il potere legislativo, che facevano uscire dagli schemi classici dei sistemi parlamentari, presidenzialisti e convenzionali.  Cfr. : M. DE VEDIA Y MITRE, El Gobierno del Uruguay, Buenos Aires, 1919, 195 ; C. RUIZ DEL CASTILLO, op. cit., 427 ss., che definisce la formula colegialista “conciliativa, flessibile ed ingegnosa” ; M. GARCÍA KOHLY, El problema constitucional en las democracias modernas, Madrid, 1931, 151 ss.  Secondo B. MIRKINE-GUETZÉVITCH, Les Constitutions des nations américaines, Paris, 1932, 86, il regime costituzionale dell’Uruguay nel 1919 si presentava come “un amalgama del regime presidenziale, del regime direttoriale e della democrazia diretta”.

[41] L’entrata in vigore fu stabilita dalla Disposizione transitoria, lettera A), della nuova Costituzione, dopo essere stata dapprima approvata dal referendum del 25 novembre 1917 e poi promulgata il 13 gennaio 1918.  In particolare la consultazione registrò un’altissima astensione pari al 61,8% degli aventi diritto (all’epoca esisteva il solo suffragio maschile e si recarono alle urne solo 90.149 persone a fronte di 233.850 iscritti al voto, pari al 38,2%) pronunciandosi a favore del testo il 95,1% dei votanti (84.990) pari ad appena il 36% circa dell’intero corpo elettorale, cfr. E.J. COUTURE, La Constitution uruguayenne de 1952, in “Cahiers de législation et de bibliographie juridique de l’Amérique Latine”, Paris, 1952, 34.  I dati su tutte le consultazioni referendarie svoltesi in Uruguay sono reperibili sul sito del Centro di studi e documentazione sulla democrazia diretta, diretto dal Prof. Andreas Auer presso la Facoltà di Diritto dell’Università di Ginevra, all’indirizzo : http://c2d.unige.ch.

[42] La Costituzione del 1918 è reperibile in H. GROS ESPIELL, op. cit., 179 ss.  In particolare, l’art. 70 recita : “Il potere esecutivo è delegato al Presidente della Repubblica ed al Consiglio Nazionale di Amministrazione”.  Il primo Consiglio Nazionale di Amministrazione era composto dal Presidente, Feliciano Viera, e dai seguenti consiglieri : Ricardo J. Areco, Domingo Arena, Carlos A. Berro, Pedro Cosio, Martín C. Martínez, Santiago Rivas, Francisco Soca ed Alfredo Vázquez Acevedo.  L’elenco completo dei membri degli esecutivi uruguayani è contenuto in J.A. ODDONE, op. cit.  Per un esame complessivo del testo della Costituzione del 1918, cfr. J. RODRÍGUEZ LÓPEZ, La nueva Constitución del Uruguay, in “Revista de legislación y jurisprudencia”, 1918, 284-286 ; J.B. PONS, op. cit., 47-51.

[43] Tuttavia, questa soluzione intermedia era anche il frutto di una corrente di opinione che sosteneva la necessità di separare le funzioni meramente esecutive da quelle amministrative, attribuendole ad organi distinti, cfr. : J.E. JIMÉNEZ DE ARÉCHAGA, Gobierno y responsabilidad, Montevideo, 1915, 52 ss. ; P. BLANCO ACEVEDO, Estudios constitucionales, Montevideo, 1939, 63 ss. ; J.A. RAMÍREZ, op. cit., 89, 92-93.

[44] Come previsto dalla Disposizione transitoria D della Costituzione del 1918, il primo Presidente della Repubblica, in carica nel quadriennio 1919-1923, fu eletto con la stessa modalità prevista dalla carta del 1830, e cioè in via indiretta dall’Assemblea Generale, a maggioranza assoluta dei voti.

[45] I Capi della Polizia, uno per ogni Dipartimento, sostituirono i Capi Politici della Costituzione del 1830, nominati dal Presidente, che si occupavano di tutti gli affari governativi nel Dipartimento e che furono, in realtà, agenti politici ed elettorali del potere centrale nel luogo in cui esercitavano le loro funzioni.

[46] I consiglieri potevano essere rieletti decorso un biennio dal termine del loro mandato (art. 88), ma il Presidente della Repubblica poteva essere eletto in seno al Consiglio dopo soli sei mesi dalla cessazione della carica (art. 83). 

[47] L’art. 98 attribuiva, tuttavia, un potere consultivo al Presidente della Repubblica in materia di redazione del bilancio preventivo, moneta, commercio internazionale, prestiti ed imposte.

[48] In particolare, in tema di rappresentanza delle minoranze nel Consiglio di Amministrazione, l’art. 82 stabiliva che : “… attribuendo i due terzi dei seggi alla lista più votata e la restante terza parte a quella dell’altro partito che la segue nel numero di suffragi ottenuti”.  Sul Consiglio, cfr. S. PEREDA, El Poder Ejecutivo, Montevideo, 1918.

[49] La richiesta di informazioni ai Ministri non era contemplata nella Costituzione del 1830, mentre il “llamado a sala” era già previsto ma poteva essere richiesto solo a maggioranza dei voti (art. 53).  

[50] Cfr. J. JIMÉNEZ DE ARÉCHAGA, op. cit., 65.  In realtà, sarebbe sbagliato dire che la riforma del 1917 innovò totalmente questo punto.  Infatti, la responsabilità ministeriale aveva una grande tradizione in Uruguay e già le vecchie Assemblee popolari (“cabildos aperti”) verificavano l’attuazione della politica dei governanti, mentre la Giunta esecutiva degli anni 1825-’27 faceva comparire davanti a sé i Ministri al fine di interrogarli.  Tale facoltà fu mantenuta dall’articolo 53 della Costituzione del 1830, ma poteva essere richiesta solo a maggioranza dei voti, ed era corrente nel linguaggio politico l’utilizzo di termini come Gabinetto, Primo Ministro, fiducia ministeriale, dichiarazione di censura, ecc., cfr. W.S. STOKES, Parliamentary government in Latin America, in “The American Political Science Review”, 1945, 2, 522-536, mentre parla di “contaminazione parlamentare”, con influssi francesi più che britannici, P. BISCARETTI DI RUFFÍA, Recenti saggi di diritto costituzionale straniero e di scienze politiche, in “Il Politico”, 1956, 85.  Per altri, invece, i tentativi di stabilire un regime parlamentare, che furono abbozzati nel processo di riforma, non raggiunsero alcun esito, cfr. M.C. MARTÍNEZ, op. cit., cap. II.  Cfr. anche A.R. PÉREZ, El parlamentarismo en la tradición constitucional uruguaya, Montevideo, 1989.

[51] Cfr. H. GROS ESPIELL, El ejecutivo colegiado en el Uruguay, in “Revista de Estudios Políticos”, 1964, 160.

[52] Il Presidente della Repubblica ed i consiglieri potevano essere posti in stato d’accusa dalla Camera nel corso del loro mandato o nei sei mesi successivi, durante i quali erano assoggettati all’obbligo di residenza nel Paese, salva autorizzazione del Parlamento, rilasciata a maggioranza assoluta dei voti.  Qualora il giudizio si fosse concluso con il voto di condanna del Senato pari ai due terzi dei componenti, ne derivava la decadenza dalla carica. 

[53] In effetti, durante la vigenza della Costituzione del 1918, quasi ogni anno gli elettori furono chiamati a pronunciarsi sulla copertura di determinate cariche pubbliche.  Infatti : ogni sei anni si rinnovavano i senatori ; ogni quattro si votava per eleggere il Presidente della Repubblica ; ogni tre si eleggevano i deputati ed ogni due si rinnovava un terzo del Consiglio Nazionale di Amministrazione.  In tal modo la Costituzione provocò una sorta di “ginnastica elettorale” così continua che si fece l’abitudine alla democrazia e l’uruguayano medio aumentò il suo grado di partecipazione, il suo compromesso politico e sperimentò il valore del suo voto libero, cfr. J.J. ARTEAGA, op. cit., 152.  A. PINTOS, Batlle y los problemas sociales del Uruguay, 122, esprime così il suo giudizio sulla Costituzione del 1918 : “Le elezioni frequenti, il voto segreto, l’elezione diretta dell’esecutivo, la rappresentanza proporzionale, il referendum e l’autonomia dipartimentale, costituivano parti indispensabili della riforma.  All’interno della relatività di un’organizzazione economica in cui l’uomo non può mai essere libero, poiché lo schiavizza il salario, il sistema batllista offriva la possibilità di consultazioni frequenti della popolazione, facilitava il pronunciamento della massa, sui problemi della cui soluzione era interessata”.

[54] Nell’ordine, ricoprirono la carica di Presidente del Consiglio Nazionale di Amministrazione : Feliciano Viera (1919-1921) che aveva appena concluso l’incarico di Presidente della Repubblica sulla base della Costituzione del 1830 ; José Batlle y Ordoñez (1921-1923) ; Julio María Sosa (1923-1925) ; Luís Alberto de Herrera (1925-1927) ; Luis C. Caviglia (1927-1929) ; Baltasar Brum (1929-1931) ; Juan P. Fabini (1931-1933) ; Antonio Rubio (1°-31 marzo 1933, quando intervenne il colpo di Stato del Presidente Terra).  In particolare si sottolinea che con le elezioni per il Consiglio del 1925 si ebbe la vittoria del Partido Blanco consentendo così a Luís Alberto de Herrera di ascendere alla presidenza dell’organo di governo collegiale, cfr. al riguardo J.J. ARTEAGA, op. cit., 155. 

[55] Così l’art. 105 : “Oltre ai Segretari di Stato [...] dipendenti dal Presidente della Repubblica, ci saranno quelli che la legge stabilisce come dipendenti del Consiglio Nazionale.  Il Consiglio, per nominare o revocare i suoi Ministri, necessita della maggioranza dei suoi voti”.

[56] Art. 97 : “Spetta al Consiglio Nazionale : [...] dettare le istruzioni necessarie affinché le elezioni abbiano luogo alla data fissata dalla Costituzione e siano osservato ciò che dispone la legge elettorale, senza che possa, per alcun motivo, sospendere le elezioni, né variare il loro periodo, senza che sia previamente stabilito dall’Assemblea Generale”.

[57] Rispetto al potere legislativo, la riforma del 1917 mantenne il sistema bicamerale con la Camera, eletta a suffragio universale diretto, composta secondo quanto previsto dalla legge da 99 deputati, ed il Senato, eletto sempre a voto indiretto come previsto dalla Costituzione del 1830 e composto da 19 senatori, in ragione di uno per ogni Dipartimento del Paese.  Tuttavia, con la legge di riforma costituzionale del 22 ottobre 1930, ratificata dalla Legge 27 ottobre 1932, fu introdotta l’elezione diretta anche per il Senato.  Le due Camere riunite in seduta comune costituivano l’Assemblea Generale, alla quale era delegato l’esercizio del potere legislativo.

[58] Un esame di questo periodo storico è stato fatto da : L. ARCOS FERRAND, Lección del curso de Derecho Constitucional de 1933, in “Revista de la Asociación de Estudiantes de Abogacia”, 2, 4, nonché da J.P. MASSERA, op. cit., Montevideo, 1949.  In senso opposto, i volumi Los discursos del Presidente Terra, Montevideo, 1934 ; G. TERRA, El 31 de marzo, mensaje explicativo de los acontecimientos revolucionarios, Montevideo, 1933. 

[59] La conseguenza della rotazione dei partiti politici al potere derivata dalla Costituzione del 1918 fece sì che il Partido Nacional registrò un incremento del suo elettorato, giungendo a trionfare nelle elezioni del febbraio 1925 per il Consiglio Nazionale di Amministrazione.

[60] Cfr. G. DONATI, E. ROZO ACUÑA, op. cit., 440, che definisce la Costituzione del 1918 come “apice della concordia patriottica” per la rappresentanza proporzionale in seno all’esecutivo.

[61] Cfr. J. JIMÉNEZ DE ARÉCHAGA, op. cit., 67.

[62] Il ruolo attenuato del sistema fu segnalato da Carlos Real de Azúa laddove affermò che l’esecutivo colegiado fu teatro del “noioso e migliore esercizio del compromesso, quale minuscola ripartizione delle soluzioni”, cfr. J.J. ARTEAGA, op. cit., 156.  Parla di esperienza “dubbiosa”, M. FRAGA IRIBARNE, op. cit., 253, sottolineando le grandi divisioni in seno al Colegiado tra i sei esponenti colorados ed i tre blancos.

[63] Parla di “esperienza dubbiosa”, M. FRAGA IRIBARNE, op. cit., 253, sottolineando le grandi divisioni in seno al Colegiado tra i sei esponenti colorados ed i tre blancos che favorivano il predominio delle macchine dei grandi partiti, per cui il Consiglio Nazionale di Amministrazione appariva come “un gran consiglio di famiglia”.  Mentre E. LAORDEN MIRACLE, Uruguay, el benjamín de España, Madrid, 1949, 148, affermava che : “Nell’Uruguay comandava troppa gente e sembra che comandavano più quelli che meno si assumevano la responsabilità di fronte all’opinione pubblica”.

[64] The Republics of South America, 1937, 168.

[65] Cfr. J. JIMÉNEZ DE ARÉCHAGA, op. cit., 68.

[66] L’art. 103 affermava che : “Il Consiglio Nazionale di Amministrazione può autorizzare alcuni dei suoi membri ad assistere alle sedute delle Camere e prendere parte alle sue deliberazioni, anche quando non potranno votare”.

[67] Cfr. J. JIMÉNEZ DE ARÉCHAGA, op. cit., 76.

[68] Cfr. ib., op. cit., 68.  In particolare qui, con una certa dose di fatalismo e rassegnazione, Jiménez de Aréchaga  aggiunge che : “Queste piccole riforme avrebbero forse potuto salvare il regime del 1917.  Ma questo è un Paese senza pazienza, e, soprattutto, è un Paese guidato da partiti politici che sono troppo abituati al fatto che le Costituzioni si fanno ogni quattro anni e devono essere riformate ogni quattro anni, in funzione degli equilibri esistenti tra le varie forze.  Non avremo mai un regime costituzionale seriamente stabilito, né istituzioni realmente rispettate, mentre ci convinciamo che è molto meglio limare, perfezionare, aggiustare, che distruggere al fine di sostituire”.

[69] Cfr. ib., op. cit., 76.

[70] Si pronuncia in termini positivi sulla prima esperienza colegialista uruguayana del 1919-1933, C. OLLERO, El derecho constitucional de la postguerra, Barcelona, 1949, 85.

[71] Cfr. J. JIMÉNEZ DE ARÉCHAGA, op. cit., 67.

[72] Cfr. J.J. ARTEAGA, op. cit., 166.

[73] Il primo Presidente della Repubblica sotto la Costituzione del 1918 fu il batllista Baltasar Brum (1919-1923), cui seguirono : José Serrato (1923-1927), colorado neutrale ; Juan Campisteguy (1927-1931), appartenente alla corrente “riverista” del Partido Colorado, cioè quella anticolegialista ; Gabriel Terra (1931-1933, e poi, sotto la Costituzione del 1934, sino al 1938), batllista, da cui sorgerà la corrente di opinione e la relativa decisione di riformare la Costituzione sopprimendo il Colegiado.  Si ricorda, altresì, che i batllisti, nell’agosto del 1922, presentarono un progetto di Colegiado integrale, senza Presidenza della Repubblica, che non ebbe seguito, nonostante fosse appoggiato dallo stesso Presidente Brum, cfr. H. GROS ESPIELL, op. cit., 161.

[74] Fu questo, ad esempio, il caso di Julio María Sosa, che godeva di un forte prestigio nel Paese, la cui candidatura alla Presidenza della Repubblica era sostenuta da un nucleo forte dei batllistas, ma lo stesso Batlle si oppose tenacemente alla sua elezione, giungendo anche alla rottura con il suo compagno di partito più in vista e determinando così uno strappo in seno al Partido Colorado con la nascita della corrente del sosismo.

[75] In questa sede occorre ricordare che tra il nuovo Presidente ed i suoi due predecessori vi era una sostanziale differenza di temperamento politico, in quanto né Serrato, né Campisteguy, erano persone con vocazioni di leader, né si erano segnalati per l’ambizione di puntare alla guida del partito.  Al contrario, Terra era un uomo con la tipica aspirazione di condottiero politico e ciò non poteva ben armonizzarsi con il sistema costituzionale che si era dato il Paese, cfr. J. JIMÉNEZ DE ARÉCHAGA, op. cit., 73, nonché J. DE TORRES WILSON, Brevísima historia, cit., 47.

[76] Cfr. A. ZUM FELDE, op. cit., 254-255.

[77] Non va peraltro dimenticata la tesi del LLOBET, La Constitution de l’Uruguay, Toulouse, 1926, 94, che relazionava il sistema del 1917 con la distribuzione della popolazione uruguayana e parlava di un’amministrazione “municipale” applicabile a tutto il Paese.

[78] Cfr. J. JIMÉNEZ DE ARÉCHAGA, op. cit., 59-60.

[79] Questo non significa che all’inizio del cambio di regime di governo non insorsero difficoltà e conflitti politici di una certa importanza.  La Presidenza di Brum può dividersi in due periodi fondamentali : nel primo si avvertono difficoltà a raggiungere un accordo tra i due organi ai quali sono erano stati attribuiti i compiti esecutivi, giungendo sino al limite di una crisi istituzionale ; nel secondo periodo, invece, cominciò un adeguamento degli uomini al sistema.  La normalità del suo funzionamento si consolidò con le due successive presidenze di Serrato e di Campisteguy.

[80] Dal punto di vista economico la crisi del 1929 ebbe conseguenze devastanti.  Il crack della Borsa di New York pose fine al clima di prosperità che aveva caratterizzato il primo dopoguerra.  Le mercanzie immagazzinate cominciarono ad incontrare difficoltà a trovare compratori.  Inizialmente traballò il settore industriale, poi quello agricolo ed infine il sistema bancario, per giungere poi alla caduta verticale dei titoli di borsa.  Conseguenze, immediate della crisi furono la riduzione dei consumi, la caduta dei prezzi – soprattutto delle materie prime – e la disoccupazione di circa centomila lavoratori.  Sugli aspetti della crisi economica degli anni Trenta in Uruguay, cfr. J.J. ARTEAGA, op. cit., 168-173.  L’opera del Consiglio durante la crisi degli anni Trenta è stata esposta da A. ALVAREZ, La gran obra de los poderes constitucionales frente a la crisis, Montevideo, 1934.

[81] Non a caso fu la stagnazione economica del 1913-’16 a ridare temporaneamente slancio all’opposizione blanca (alleatasi con i cattolici e con settori avversi a Batlle nel Partido Colorado) ed a segnare la sconfitta del batllismo nel 1916, che costrinse il Batlle a ripiegare dal colegiado integrale all’esecutivo bicefalo che implicava un delicato equilibrio, cfr. F. FIORANI, op. cit., 39.

[82] Cfr. E.J. COUTURE, op. cit., 27.

[83] I contrasti tra i poteri dello Stato, esecutivo e legislativo, nonché la mancanza di armonia tra i due rami dell’esecutivo, Presidenza e Consiglio di Amministrazione, crearono le tensioni necessarie affinché importanti personalità del regime, come Alberto Demicheli e lo stesso Terra, parlarono di crisi istituzionale, cfr. : J.J. ARTEAGA, op. cit., 174-175 ; A. ZUM FELDE, op. cit., 257-258.  Nel 1930 erano molti quelli che condividevano la critica di Secco Illa al Colegiado : “pesante, irresponsabile ed antidemocratico”, cfr. M. FRAGA IRIBARNE, op. cit., 254.

    Occorre ricordare che, dopo l’elezione di Terra, all’interno del Partido Colorado iniziò a staccarsi il gruppo che faceva capo a Brum ed ai tre figli di Batlle, proprietari del giornale El Día, massimo organo del partito, da quelli che riconoscevano invece la presidenza di Terra, che erano la maggioranza.  Le divergenze insorsero quando il Presidente dichiarò di non accettare le direttive politiche imposte dai suoi compagni di partito, cfr. G. CAETANO, J. RAÚL, El nacimiento del terrismo (1930-1933), Montevideo, I, 1989.  Nel Partido Nacional si formò invece la corrente Independiente facente capo a Luis Alberto de Herrera, che nel 1931 fondo il Comité Nacional herrerista riunendo in sé la maggioranza dei blancos ed appoggiando in maniera determinante Terra nel colpo di Stato del 1933. 

[84] Tra le altre proposte di Terra vi era anche quella che tornava a cercare un motivo di ispirazione nel sistema svizzero : ogni consigliere sarebbe stato posto a capo di un dipartimento dell’amministrazione, sopprimendo così l’istituzione ministeriale, godendo di ampie facoltà per decidere in conformità alla legge e lasciando alle deliberazioni del Consiglio solo le grandi linee della politica dell’esecutivo.  Il collegio di governo sarebbe stato composto da cinque membri, tre della maggioranza e due dell’opposizione, eletti ogni quattro anni dal popolo.  Tale progetto fu studiato, insieme ad altri, da un’apposita Commissione di riforma, istituita su iniziativa del Presidente, ma i lavori non si tradussero in alcun risultato concreto.  Sulla propaganda riformista del Presidente Terra e sulle sue conseguenze che sfociarono nel golpe del 1933, cfr. : O. ABADIE SANTOS, De la jornada anticolegialista, Montevideo, 1933 ; G. TERRA, Los discursos del Presidente Terra, Montevideo, 1934 ; E.V. HAEDO, La caída de un régimen, Montevideo, 1936 ; J. JIMÉNEZ DE ARÉCHAGA, op. cit., 75-79.  Le basi della riforma costituzionale proposta da Terra sono riportate in G. GALLINAL, Uruguay hacia la dictadura, Montevideo, 1938, 298-300 e possono consultarsi anche in  Proyectos de reforma constitucional y convenio de los partidos, Montevideo, 1932-1933, 29.  Infine, occorre ricordare che queste basi influenzarono alcune delle norme stabilite nella Costituzione del 1934 ed in particolare gli articoli 24, 76 e 140.                                                                            

[85] Va infatti ricordato che dopo l’elezione di Terra i colorados batllistas mantennero la predominanza nel Consiglio di Amministrazione, seguiti da una minoranza di blancos, nonché in entrambi i rami del Parlamento in virtù dell’alleanza con la stessa corrente minoritaria dei blancos.  Terra, invece, era sostenuto dalla maggioranza del Partito Blanco, facente capo ad Herrera, la quale non era rappresentata nell’esecutivo ed in Parlamento perché aveva proclamato l’astensione, nonché dalla corrente Riverista dei colorados, guidata da Manini, la cui origine risaliva alla campagna anticolegialista del 1913-’16.

[86] La Costituzione del 1919 era ovviamente rigida e per modificarla dovevano essere d’accordo due legislature successive, a maggioranza dei due terzi dei componenti (artt. 177 e 178).

[87] Al plebiscito si opposero fermamente i batllistas e solo alla vigilia del golpe, di fronte alla gravità della situazione, i dirigenti del partito annunciarono la disponibilità a trattare un progetto di plebiscito, ma la volontà conciliativa giunse ormai troppo tardi, visto che la dittatura era politicamente inevitabile.

[88] Dopo la creazione di un Comitato Pro Plebiscito e Riforma Costituzionale, creato da Terra, il Presidente comunicò al legislativo una serie di misure straordinarie assunte invocando ragioni di pubblica sicurezza e volte a realizzare una riforma costituzionale attraverso la convocazione di una Costituente.  In particolare il Presidente decretò la censura alla stampa ed i giornali di opposizione presidenziale apparvero con colonne in bianco in corrispondenza degli articoli di carattere politico.  L’Assemblea generale, avversa alla politica presidenziale, si riunì in via straordinaria nella notte tra il 30 ed il 31 marzo al fine di esaminare il messaggio del Capo dello Stato, ordinando al Presidente di revocare immediatamente i provvedimenti straordinari adottati per 64 voti contro 42.  Nella prima mattinata del 31, Terra rispose al Parlamento assumendo i pieni poteri, dichiarando sciolta l’Assemblea ed il Consiglio Nazionale di Amministrazione, designando una Giunta di Governo Provvisoria e convocando il popolo per un plebiscito costituzionale.  Una tragica conseguenza del colpo di Stato fu il suicidio del maggiore esponente del batllismo, Baltasar Brum : questo segnò la fine dell’epoca di Batlle in Uruguay.  Cfr. : G. TERRA, La Revolución de Marzo, Buenos Aires, 1938 ; G. TERRA, Gabriel Terra y la verdad histórica, Montevideo, 1962 ; A. ZUM FELDE, op. cit., 258-259 ; J.J. ARTEAGA, op. cit., 181-182.

[89] Terra abbandonò da subito la politica di nazionalizzazione e di interventismo statale in economia al fine di tranquillizzare il capitale straniero.

[90] Il 31 giugno 1933 s’installò la Convenzione Nazionale Costituente, nella cui seduta inaugurale il Presidente Terra, con riferimento al Colegiado, dichiarò : “Regime pesante, lento, sempre assillato da sollecitazioni elettorali.  Pesante e lento, per l’eccessiva frammentazione dello strumento politico ; diviso in due organi legislativi, in due poteri esecutivi, in più di dieci grandi imprese autonome ed in diciannove governi semifederali, che si poterono attuare nei periodi di auge e prosperità pubblica, si indeboliva per la sua mancanza di unità e di adeguata coordinazione in questa nuova epoca di povertà e di penuria economica”, cfr. M. FRAGA IRIBARNE, op. cit., 254.

[91] Inizialmente il colpo di Stato del 31 marzo 1933 sospese temporaneamente le libertà democratiche e la libertà di stampa.  La dittatura, popolarmente battezzata come “dictablanda”, durò il tempo sufficiente (cioé un anno : dal marzo 1933 al marzo 1934) per riformare il sistema costituzionale ed iniziare il nuovo corso politico con la rielezione di Terra alla rinnovata presidenza della Repubblica.  I comizi per l’elezione della Convenzione Nazionale Costituente si tennero il 25 giugno 1933 – a distanza di neanche tre mesi dal colpo di Stato –  registrando il 42% di astensionismo, ma consacrarono il trionfo delle tendenze riformiste.  Il 22  marzo 1934, la Convenzione designò Terra Capo dello Stato per il periodo 1934-’38.  Dieci giorni dopo approvò la nuova Costituzione che fu poi sottoposta a referendum il successivo 18 maggio ed approvata col 95,7% dei consensi (56,3% del totale dei votanti), vista l’astensione dei batllistas (43,7%, in quanto votarono 238.269 persone su 422.865 elettori), procedendosi contestualmente all’elezione di deputati e senatori ; la nuova carta entrò in vigore il 19 giugno 1934.  Nel periodo che va dal 31 marzo 1933 (data del colpo di Stato) alla data suddetta, il Presidente Terra governò con la Costituzione del 1830, in quanto applicabile, attraverso Decreti legge, ed assistito da un Consiglio di Stato designato in parte dal partito al governo che sosteneva il Presidente Terra, ed in parte dall’opposizione.  Cfr. : J.G. ANTUÑA, Un reclamo vital : el golpe de estado del 31 de marzo de 1933, Montevideo, 1933 ; G. TERRA, op. cit., 1-10 ; 31-38 ; P.B. TAYLOR jr., The Uruguayan Coup d’Etat, in “Hispanic American Historical Review”, 1962, 301-320 ;  J.B. PONS, op. cit., 51 ; J.J. ARTEAGA, op. cit., 183 ;  J. DE TORRES WILSON, Brevísima historia, cit., 48-51.

[92] La Costituzione del 1934 fu studiata minuziosamente dal Costituente che si rifece alle istituzioni repubblicane in vigore in altri Paesi dopo la prima guerra mondiale, ed in particolare a quella di Weimar del 1919, dell’Austria e dell’Estonia del 1920, della Polonia del 1921, dello Stato libero di Danzica del 1922 e della Spagna del 1931 e, per quanto concerne le dottrine sociali, trovò la sua fonte nella Costituzione messicana del 1917.  Sulla Costituzione del 1934, cfr. : O. DIAZ DE VIVAR, La Constitución uruguaya de 1934, Buenos Aires, 1935 ; J. SALGADO, La Constitución uruguaya de 1934, Montevideo, 1934 ; J. ESPALTER, Discursos parlamentarios ; J.B. PONS, op. cit., 51-53.

[93] La Costituzione del 1934 sancì anche conquiste dal punto di vista dell’organizzazione costituzionale, principalmente per gli istituti di controllo.  In quest’ambito va segnalato che la carta consacrò la difesa di incostituzionalità, attribuendo alla Corte Suprema di Giustizia il potere di dichiarare la disapplicazione delle leggi incostituzionali ; inoltre, vennero creati il Tribunale del Contenzioso Amministrativo, il Tribunale dei Conti e la Corte Elettorale.  Tutti i componenti di questi organi erano designati dall’Assemblea Generale, che si poneva così al di sopra di essi.

[94] La Convenzione costituente del 1934 dedicò gran parte del suo tempo alle questioni di principio e solo marginalmente si soffermò sull’organizzazione dei poteri che era stata oggetto di accordo politico, cfr. i dibattiti contenuti nel Diario de Sesiones de la III Convención Nacional Constituyente (1933), Montevideo, 1935 e gli Actas de la Comisión de Constitución.  In particolare furono sanciti in Costituzione, il diritto di sciopero come diritto sindacale, la garanzia dell’equo salario, il diritto all’educazione e, soprattutto, fu concessa la cittadinanza alle donne.  In linea generale, occorre ricordare che, nonostante il movimento di Terra fosse considerato espressione della reazione antibatllista, la sua politica economica fu essenzialmente di tipo batllista, visto che ricorse allo statalismo, al protezionismo ed al dirigismo economico.  Lo Stato mantenne il suo ruolo di promozione dello sviluppo agricolo, industriale e finanziario, e l’iniziativa privata si abituò a questa protezione.  Allo stesso modo, e non per mera casualità, non vi furono particolari cambiamenti nella politica sociale : si continuò proteggendo i settori più deboli nelle loro necessità basilari, quali il lavoro, la casa, l’alimentazione.  Quindi, la dottrina politica di Batlle si era ben radicata nel Paese.  Cfr. : J.J. ARTEAGA, op. cit., 186-187 ; A. ZUM FELDE, op. cit., 259.

[95] Sul Consiglio dei Ministri previsto dalla Costituzione del 1934, cfr. : A. ESPALTER, Algunos aspectos de la organización del poder ejecutivo en la Constitución de 1934, Montevideo, 1937 ; A.L. BARBAGELATA, El Consejo de Ministros en la Constitución Nacional, Montevideo, 1950, 31-41 ; H. GROS ESPIELL, Las Constituciones del Uruguay, Madrid, 1956, 88-89.  Questo sistema presentava tutti i “vantaggi del Colegiado per quanto fosse necessario, ma senza obbligare per questo il Presidente a venire a patti con l’insieme dei Ministri”, cfr. M. FRAGA IRIBARNE, op. cit., in “Cuadernos americanos”, cit., 360.  Tuttavia, nel 1936 fu stabilito che, in caso di mancata collaborazione da parte della minoranza, si poteva prescindere dalla sua partecipazione all’esecutivo, cfr. M. FRAGA IRIBARNE, op. cit., 266, nota 76.

[96] P. BISCARETTI DI RUFFÍA, op. cit., 86.

[97] Questa formula di governo fu ispirata dal giurista Alberto Demicheli, cfr. : A. DEMICHELI, El poder ejecutivo, Buenos Aires, 1950 ; J. SECCO GARCÍA, op. cit., 8.

[98] All’interno del Consiglio dei Ministri, il Presidente della Repubblica non era che uno dei suoi membri che non godeva di altra prerogativa che quella di detenere il doppio voto in caso di parità.  Cfr. J. JIMÉNEZ DE ARÉCHAGA, op. cit., 80 ; H. GROS ESPIELL, El ejecutivo colegiado en el Uruguay, in “Revista de Estudios Políticos”, 1964, 162.

[99] Cfr. B. MIRKINE-GUETZÉVITCH, Las nuevas Constituciones del mundo, Madrid, 1931, 22.

[100] Con la Costituzione del 1934 il numero dei senatori salì da 19 a 31, in quanto non furono più eletti nei singoli Dipartimenti, ma in un collegio unico nazionale.  Cfr. H. GROS ESPIELL, op. cit., 162 ; R. CAMPA, op. cit., 110-112.

[101] Inoltre, il Presidente della Repubblica non poteva sciogliere le Camere come conseguenza di una censura parziale, cioè rivolta solo ad alcuni membri del Governo, se non per una sola volta durante il suo mandato.

[102] Cfr. A. ZUM FELDE, op. cit., 260.

[103] Infatti, l’art. 183 della Costituzione del 1934, derivato dall’art. 100 di quella del 1830, aveva previsto che i Direttori degli Enti autonomi dello Stato fossero designati dal Presidente della Repubblica di concerto con il Consiglio dei Ministri e con l’autorizzazione del Senato, che doveva approvare i nominativi proposti con la maggioranza qualificata dei 3/5 dei suoi componenti.  A tal fine si ricorda che nel 1934 in Uruguay funzionavano : tre banche di Stato, gli stabilimenti elettrici e telefonici, la Società Frigorifera Nazionale (per la conservazione delle carni), l’amministrazione dei combustibili, dell’alcool e del cemento, così come tutti i servizi d’insegnamento primario, secondario e superiore, cfr. E.J. COUTURE, op. cit., 24-25 ; R. CAMPA, op. cit., 119-121.  In definitiva, con la riforma del 1934 il Presidente della Repubblica riapparve, ma i partiti ed i servizi pubblici avevano una forza così grande che il potere personale non era possibile, cfr. M. FRAGA IRIBARNE, op. cit., 255.

[104] Cfr. H. GROS ESPIELL, Las Constituciones del Uruguay, Madrid, 1956, 90-91.  Sui sistemi di controllo previsti dalla carta del 1934, cfr. H. ABADIE SANTOS, El régimen de contralores en la Constitución Nacional de 1934, in “Jurisprudencia”, Colección Abadie Santos, tomo 62, caso 13.028.

[105] Di fatto l’accordo siglato tra Terra ed Herrera il 13 gennaio 1933 con cui il Presidente offrì al secondo la compartecipazione al potere in cambio della sua neutralità durante il golpe.  Non a caso la nuova composizione del Senato favoriva chiaramente il movimento herrerista all’interno del Partido Nacional, cfr. J.J. ARTEGA, op. cit., 181 e sulla figura di Herrera, cfr. : E.V., HAEDO, Herrera, caudillo oriental, Montevideo, 1972 ; L.A. LACALLE, Herrera, un nacionalismo oriental, Montevideo, 1978.  Peraltro, la situazione si aggravò con la riforma del 1936 perché fu soppressa la figura del Vicepresidente della Repubblica che sino ad allora era eletto direttamente dal Popolo e presiedeva il Senato con diritto di voto (art. 85) il quale rimase composto dalle due frazioni di quindici membri ciascuna, i cui capi presiedevano alternativamente, ogni due anni, l’assemblea.  Questo sistema di equilibrio instabile si mantenne sino al 1942.

[106] Nelle elezioni presidenziali del 27 marzo 1938 il partito terrista si presentò con due candidature : Alfredo Baldomir, cognato di Terra, ex capo della polizia di Montevideo ed ex Ministro della Difesa durante il governo terrista, ed Eduardo Blanco Acevedo, consuocero di Terra ed ex Ministro della Sanità nello stesso governo : l’opinione diffusa degli osservatori politici attribuiva la vittoria a Blanco Acevedo, ma soprendentemente trionfò Baldomir.  I batllistas, nacionalistas independientes ed i gruppi tradizionali (comunisti, socialisti ed Unión Cívica, partito d’ispirazione clericale) continuarono ad astenersi dal voto, in opposizione al regime di Terra.  Cfr. J. JIMÉNEZ DE ARÉCHAGA, op. cit., 88-89 ; J.J. ARTEAGA, op. cit., 188.

[107] Sulla figura di Baldomir e sulla sua riforma costituzionale, cfr. FREGA, MARONNA, TROCHON, Baldomir y la restauración democrática (1938-1946), Montevideo, 1987.

[108] Con l’inizio della seconda guerra mondiale, l’Uruguay adottò una politica di neutralità, ma ciò diede origine a conflitti di una certa gravità tra il potere esecutivo e la grande massa delle opposizioni, le quali si erano schierate per una delle due parti in lotta.  In particolare i colorados sostenevano gli USA ed il Regno Unito, mentre i blancos di Herrera erano fautori delle potenze dell’Asse.  Tuttavia, man mano che si accentuò il conflitto tra la Presidenza della Repubblica ed il Partido Nacional Herrerista, l’Uruguay abbandonò la posizione di neutralità.  Di fronte a ciò, le forze di opposizione, vedendo debilitata l’alleanza del 1933, iniziarono un poderoso movimento in favore della riforma costituzionale ; in realtà, già nel 1938, vi furono segnali in tal senso con gli articoli sulla riforma pubblicati da Martín C. Martínez.  Questa propaganda in favore della revisione costituzionale culminò nel più grande meeting che l’Uruguay avesse mai conosciuto fino ad allora, al quale fu calcolato che vi parteciparono dalle 200 alle 300 mila persone che reclamavano la riforma costituzionale del Presidente della Repubblica, cioè di colui che non poteva porla in essere senza uscire dal quadro costituzionale.  Altresì, si segnala che da un esame della stampa politica di quel periodo emerge come tra coloro che scrissero in favore della riforma vi fosse un invito, a volte velato, a volte nitido, diretto a Baldomir, affinché ponesse termine al sistema costituzionale del 1934.  Cfr. J. JIMÉNEZ DE ARÉCHAGA, op. cit., 89-90.

[109] Alla Costituzione del 1934 si opposero, oltre ai battlistas ed ai nacionalistas independientes, anche i cívicos, i socialistas ed i comunistas.  Questo sentimento di resistenza si tradusse in una grande manifestazione realizzata nel luglio del 1938 sotto la parola d’ordine : “nuova Costituzione e leggi democratiche”, cfr. J.J. ARTEAGA, op. cit., 189.

[110] Il golpe del 1942 fu appoggiato dagli Stati Uniti e portò al potere una coalizione di sinistra con : Batllismo, socialisti, comunisti ed Unión Cívica.  Questo era infatti il momento della “strana alleanza” tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, e la conseguenza fu che il Presidente Baldomir ruppe le relazioni diplomatiche con i paesi dell’Asse dopo aver concesso basi navali ed aeree agli USA.  Cfr. M. FRAGA IRIBARNE, op. cit., 256, nonché A. SOLARI, El desarrollo social del Uruguay en la posguerra, Montevideo, 1967. 

[111] Tecnicamente occorre ricordare come il colpo di Stato non si produsse, in realtà, il 21 febbraio 1942 (quando fu sciolto il Parlamento) poiché esso avvenne già nel momento in cui il Presidente della Repubblica, volendo prescindere dai Ministri herreristi lì sostituì con altri del suo partito.  Ciò presupponeva però la rottura del sistema costituzionale vigente e degli equilibri politici che ne erano alla base : a partire da questo momento, infatti, il paese visse tecnicamente in un regime extracostituzionale.  Il Parlamento, dal canto suo, continuò a funzionare, ma questa soluzione del conflitto ministeriale rappresentò un’evidente infrazione delle disposizioni costituzionali.

[112] Il golpe di Baldomir fu definito anche “bueno” in contrapposizione al “malo” di Terra, cfr. M. FRAGA IRIBARNE, op. cit., in “Cuadernos hispanoamericanos”, cit., 361.

[113] Subito dopo lo scioglimento delle Camere, il Presidente Baldomir chiese il supporto degli oppositori, ma alcuni gruppi, che pure si erano espressi a favore della riforma, manifestarono la loro non disponibilità alla collaborazione.  In assenza di altre vie d’uscita si giunse anche a pensare alla costituzione di una Giunta militare, ma da quest’empasse si poté uscire mediante una serie di rapide consultazioni con alcuni elementi colorados neutrali, non affiliati a nessuno dei gruppi politici esistenti, nonché attraverso la creazione del Consiglio di Governo, il quale aveva semplicemente delle funzioni consultive in materia legislativa ed era composto esclusivamente da colorados, appartenenti al batllismo, nonché da un gruppo di colorados neutrali, presieduto dall’ex Presidente Serrato.  La collaborazione del batllismo fu ottenuta grazie all’intervento di César Batlle Pacheco che svolse un ruolo importante all’interno della Costituente : a fronte di una maggioranza contraria a Baldomir, Batlle Pacheco manifestò la sua fiducia nel fatto che mediante la collaborazione con il Presidente, il paese potesse restaurare un sistema costituzionale.  Cfr. J. JIMÉNEZ DE ARÉCHAGA, op. cit., 90-91.

[114] La dittatura di Baldomir fu molto breve, durò dal 21 febbraio 1942 al 1° marzo 1943, e si caratterizzò per il pieno rispetto dei diritti umani in quanto non si registrarono censure alla stampa, né persecuzioni contro gli oppositori al governo ; è questo un caso singolarissimo in Sudamerica di un militare (qual’era Baldomir, in quanto Generale) che, impadronitosi del potere, dopo soli nove mesi ed otto giorni convocò le elezioni del 29 novembre 1942, ristabilendo il sistema costituzionale, cfr. J. JIMÉNEZ DE ARÉCHAGA, op. cit., 91 ; J.J. ARTEAGA, op. cit., 192.

[115] Il progetto di riforma costituzionale fu inizialmente redatto da una Commissione costituita nel 1940 dal Presidente Baldomir e presieduta da Juan José de Amézaga, la quale aveva il compito di elaborare un testo base, previa consultazione delle forze politiche ; per questo progetto, cfr. La Plata, 4 luglio 1940.  Nel 1941, poi, sempre per iniziativa di Baldomir, fu costituito un nuovo organismo : la Giunta consultiva di riforma della Costituzione, composta da rappresentanti di tutti i partiti, tranne gli herreristas, che ne rimasero volontariamente esclusi, ed i comunisti, di cui non si voleva la partecipazione.  Il testo fu presentato il 27 marzo 1942 dall’esecutivo al Consiglio di Governo, che, dopo avervi apportato alcune lievi modifiche, adottò un decreto legge di riforma costituzionale ratificato dal referendum popolare del 29 novembre 1942 : a fronte di una partecipazione del 55%, registrò il 93% di consensi (443.414 voti favorevoli e 131.163 contrari) per cui complessivamente si espresse a favore del nuovo testo il 51% circa dell’intero corpo elettorale, cfr. E.J. COUTURE, op. cit., 34.  Così come la Costituzione del 1934 aveva provocato durante la sua vigenza la protesta e l’astensione dal voto di alcuni gruppi politici, anche la carta del 1942 subì l’opposizione costante del Partido Nacional che in varie occasioni mise in dubbio l’opportunità della riforma, cfr. H. GROS ESPIELL, El Partido Nacional y la reforma de la Constitución, Montevideo, 1952.  Il testo del 1942 non fu una Costituzione originale, segnata da un nuovo stile giuridico, in quanto era la riforma di una serie di norme contenute in quella del 1934.  Infatti, essa mantenne la sua struttura, gli articoli programmatici e, per certi aspetti, la composizione dei poteri, ai quali si sforzò di togliere il carattere transitorio che gli era stato attribuito nel 1934.  I dibattiti della riforma del 1942 apparvero nell’opera La reforma constitucional de 1942, Montevideo, 1946.  Uno studio approfondito della Costituzione del 1942 è rinvenibile in J. JIMÉNEZ DE ARÉCHAGA, op. cit., nonché, per quanto concerne il potere esecutivo, in A.L. BARBAGELATA, op. cit., 127 ss. ; cfr. anche J.B. PONS, op. cit., 53-54.

[116] Non va però dimenticato che per i difensori della Costituzione del 1934, questa compartecipazione al potere poggiava sulla realtà storica e politica del Paese, andando a sostituire le posizioni perdute dal secondo partito con la soppressione del Consiglio Nazionale di Amministrazione vigente nel periodo 1919-1933, cfr. J.J. ARTEAGA, op. cit., 193.

[117] Fu ristabilita l’elezione del Senato in ossequio al principio della rappresentanza proporzionale, ponendo termine al sistema “de medio y medio”, con senatori eletti in una sola circoscrizione, mentre per la Camera fu costituzionalizzato il sistema elettorale proporzionale in precedenza rimesso alla legge elettorale.  Inoltre, si ritornò al sistema del 1934 relativamente al disimpegno da parte del Vicepresidente della Repubblica della carica di Presidente del Senato. 

[118] Il Presidente della Repubblica era così vincolato a comporre il Consiglio dei Ministri con cittadini che godessero semplicemente “dell’appoggio parlamentare che assicuri la permanenza in carica”, mentre, anche in caso di revoca del Ministro, non si parlava più dell’appoggio del “suo gruppo parlamentare”, ragion per cui poteva essere sostituito anche con una persona di diverso orientamento politico ; né tantomeno si affermava che la minoranza dovesse detenere un certo numero di Ministri.  Il sistema del 1942 rappresenta così un recepimento dei principi parlamentari classici più intenso di quello avvenuto nel regime del 1934.  Al tempo stesso, però,  come elemento di razionalizzazione, fu stabilito che il Capo dello Stato nominasse quattro Ministri del suo gruppo politico.  Ciò significava dare al Presidente una situazione di primazia evidente nel Consiglio dei Ministri, in modo tale da poter detenere sempre i voti di quattro Ministri, oltre ai suoi due voti, visto che il Presidente votava ed era determinante in caso di parità.

[119] La Costituzione del 1934 prevedeva, invece, al fine di evitare lo scioglimento presidenziale delle Camere, il voto della censura da parte dei 2/3 dei componenti dell’Assemblea Generale, mentre erano mantenuti i due principi per cui il Presidente della Repubblica cessava dalla carica insieme al Consiglio dei Ministri nel caso il nuovo Parlamento avesse confermato il voto precedentemente dato, così come il limite di un solo scioglimento per mandato presidenziale, a seguito di censura parziale al Governo.

[120] L’art. 162 della Costituzione del 1942 prevedeva che : “Il Presidente della Repubblica assegnerà i Ministeri ai cittadini che, sulla base dell’appoggio parlamentare, possano assicurare la loro permanenza in carica.  Tuttavia, potrà sempre nominare quattro Ministri all’interno del partito che lo elesse”.

[121] Sotto quest’aspetto cfr. P.B. TAYLOR jr., The Executive Power in Uruguay, Berkeley, 1951, nonché A.L. BARBAGELATA, op.cit., 42-43.  Occorre altresì ricordare che, con il ristabilimento della libertà di suffragio da parte della carta del 1942, il Batllismo si impose nuovamente alle elezioni politiche dello stesso anno, grazie alla vittoria a Presidente del candidato dell’opposizione ai terristi, Juan José de Amézaga (1943-1947).

[122] Cfr. J. SECCO GARCÍA, op. cit., 10.

[123] Cfr. M. FRAGA IRIBARNE, op. cit., 256.

[124] Non a caso nelle elezioni del 1942, 1946 e 1950 si assistette al ritorno al potere del Partido Colorado.  In particolare nel 1942 si registrò un trionfo dei colorados (328.599 voti) sui nacionales (131.235 voti) con la Presidenza di Juan José de Amézaga (234.127 voti) che batté nettamente Eduardo Blanco Acevedo candidato per la minoranza dello stesso partito (74.767 voti) ; il Partido Nacional independiente fu la terza forza (67.030 voti), mentre Unión Cívica la quarta (24.433 voti).  Amézaga, durante il suo mandato, godette di un’ampia maggioranza che riuniva il Partido Colorado, i nacionalistas independientes ed anche i tre partiti minori.  Con il voto del novembre 1946 il batllismo tornò alla presidenza con Tomás Berreta che, però, morì il 2 agosto successivo e venne sostituito dal Vicepresidente, Luis Conrado Batlle y Berres, cugino del Batlle y Ordóñez, la cui presidenza significò consolidazione del sistema democratico e  creazione di una nuova leadership (1947-1951).  Il Partido Colorado trionfò nuovamente nel novembre 1950 ed al suo interno la corrente di Berres con Andrés Martínez Trueba alla Presidenza (1951-1952, e poi, sotto la Costituzione del 1952, sino al 1955).  Sul periodo compreso tra il 1942 ed il 1950, cfr. J.J. ARTEAGA, op. cit., 194-213.

[125] Cfr. J. JIMÉNEZ DE ARÉCHAGA, op. cit., 96.

[126] Cfr. ib., op. cit., 96-97.

[127] “Nulla faceva pensare, con le elezioni politiche del 1950, che durante il governo che ne derivò si sarebbe prodotta un’importante riforma costituzionale.  La cittadinanza non fu informata del fatto che i governanti avevano in cantiere di modificare la Costituzione, e se era certo che il partito politico al quale apparteneva il Presidente eletto Martínez Trueba, aveva sempre proclamato la sua convinzione per cui il sistema colegiado, suggerito da José Batlle Ordóñez, era quello che meglio conveniva alle necessità del Paese, non era meno certo che durante l’intensa propaganda politica del 1950, queste idee non acquisirono un’importanza più significativa che nelle precedenti opportunità”, cfr. E.J. COUTURE, op. cit.  Già all’atto dell’assunzione della Presidenza, Martínez Trueba, nel suo discorso del 1° maggio 1951, manifestò le sue intenzioni riformiste, lasciando aperto il cammino per giungere rapidamente alla modifica della Costituzione.

[128] Subito dopo l’elezione di Martínez Trueba era necessario procedere alla nomina dei vertici degli enti autonomi e dei servizi decentralizzati, ma la Costituzione del 1942 prevedeva che ciò avvenisse previo consenso del Senato e quindi il partito più importante dell’opposizione aveva un ruolo decisivo al riguardo.  Ma il Capo dello Stato non ottenne l’approvazione dei candidati proposti e alcuni autori vedono in questa difficoltà la causa principale che portò alla riforma della Costituzione.  Infatti, la minoranza negava il suo consenso alle nomine in assenza di una partecipazione alla gestione dei servizi e quindi, nella pratica, di un importante intervento indiretto nel potere politico, cfr. : E.J. COUTURE, op. cit., 30-31 ; J. JIMÉNEZ DE ARÉCHAGA, La Constitución de 1952, I.

[129] La proposta fu presentata dal Partito Colorado Batllista e da quello Nacional Independiente, che avevano collaborato alla riforma del 1942, e mirava all’introduzione del colegiado integrale ma il referendum, che si tenne il 24 novembre 1946, non raggiunse il quorum per l’approvazione, richiesto dall’articolo 281, comma B), della Costituzione del 1942 (almeno il 35% degli iscritti al voto, ma votarono a favore solo 289.101 elettori pari al 29,08%) : il testo del progetto è consultabile in J. JIMÉNEZ DE ARÉCHAGA, op. cit., 191 ss, nonché cfr. Referendum in Uruguay, in “Bollettino di informazione e documentazione del Ministero della costituente”, 1946, 16, 2, che nella sezione “Notiziario” dedica un articolo a questa consultazione.  Il 20 maggio 1949 fu poi presentato un altro progetto di riforma costituzionale volto ad eliminare il sistema del doppio voto simultaneo per partito e per candidato, che autorizzava il cumulo dei suffragi a beneficio del candidato più votato di ogni partito, ai fini dell’elezione del Presidente e del Vicepresidente della Repubblica.  Tale progetto, appoggiato dal Partido Nacional e da alcuni partiti minori, aveva come finalità di accumulare i voti dei vari candidati alla Presidenza presentatisi per uno stesso partito.  Fu assoggettato a referendum il 24 novembre 1949, ma ottenne solo 252.353 voti favorevoli, non sufficienti a raggiungere il quorum richiesto.

[130] Sul tema del Colegiado va ricordato che il Partido Nacional mutò varie volte la sua posizione.  I blancos si opposero alla prima riforma e solo dopo l’elezione della Costituente accettarono parzialmente il Colegiado in cambio di garanzie per il suffragio (voto segreto e rappresentanza proporzionale) e per l’autonomia municipale.  Quindi, partecipò al Colegiado in cui ebbe una grande influenza nonostante la sua situazione minoritaria.  Nel 1946 il Partido Nacional era contrario al Colegiado, propugnato dal Partido Colorado Batllismo e dal Partido Nacional Independiente, ma nel 1951 raccolse l’idea con entusiasmo e sembra che Herrera avesse giudicato conveniente concedere una pausa al suo partito, molto sfiancato dopo tanti anni di opposizione.  La ragione data a queste oscillazioni è stata definita come segue : “non si può, né si deve esigere dai partiti politici e dagli uomini pubblici un’idea retta come un proiettile di fucile ; sono come i fiumi, con grandi curve”, cfr. M. FRAGA IRIBARNE, op. cit., 258.  Il motivo del favore dei nacionalistas al Colegiado è stato anche individuato nella volontà di impedire il ritorno alla Presidenza di Luis Batlle, poiché, dopo il nuovo trionfo del suo partito nel 1950, quando non poté ricandidarsi, avrebbe invece potuto benissimo rifarlo nel 1954.  Cfr. l’interessante cronaca di Ramiro Fernández Andrade, trasmessa dall’Agenzia Fiel, nonché J.J. ARTEAGA, op. cit., 216.

[131] La protesta più forte contro il progetto di Colegiado venne dai partiti minori che videro la ricostruzione del monopolio dei grandi ; così si manifestarono contro la riforma i colorados indipendenti (cioè tutti i colorados non batllistas) l’Unión Cívica di Dardo Regules, i partiti comunista e socialista, nonché l’Agrupación Nacionalista Democrática Social e l’Agrupación Socialista Obrera.  In particolare la frazione dei colorados independientes “Para servir al país”, rifiutò l’accordo, giudicandolo pericoloso per il coloradismo, per la democrazia e per il paese ; ma il capo della lista, Blanco Acevedo, si dissociò da questa linea ed accettò un posto all’interno del Consiglio Nazionale di Amministrazione.

[132] In Uruguay i patti politici avevano una grande tradizione : alcuni la fanno risalire al cd. “pacto de los compadres”, siglato tra Rivera e Lavalleja nel 1830, ed a quelli che ci furono nel 1851, 1855, 1872 ed 1897, che prefiguravano il “principio de copartecipación”.  Nel 1904, a questo riguardo, Espalter scrisse che : “I patti erano incostituzionali nella forma ; nel loro testo, umilianti per ogni governo legittimo ; nel loro abusivo esercizio, occasionati dall’anarchia ; ma spogliati dalla loro forma, dal loro testo, dai loro abusi, non consacravano forse la politica di compartecipazione in un modo generoso, e con essa la libertà dei comizi? Non ci servirono per sostituire la base della forza sulla quale trovavano appoggio i nostri governi, per l’ampia base del diritto su cui si fonda il governo attuale?”, cfr. M. FRAGA IRIBARNE, op. cit., 257.

[133] La struttura bipartitica adottata dalla Costituzione del 1952 era l’istituzionalizzazione dell’accordo batlli-herrerista forgiatosi durante la presidenza di Luis Batlle y Berres (1947-1951) nipote del leader colorado Batlle y Ordóñez, e che fu chiamato la “coincidencia”, cfr. L. BATLLE BERRES, Pensamento y acción (discursos y artículos), Montevideo, II, 1982.  Le discussioni sull’accordo di riforma della Costituzione da parte della corrente herrerista dei blancos sono contenute in : Directorio del Partido Nacional, El Partido Nacional y la reforma de la Constitución, Montevideo, 1952, 35-47.  Altre importanti rivelazioni sul patto, con i discorsi di Martínez Trueba, sono in El Día, 4 novembre 1953.

[134] Il progetto di Costituzione fu innanzitutto sottoposto all’esame di una Commissione speciale, composta da 25 membri rappresentativi di tutti i partiti del Paese – la cd. “Commissione dei Venticinque” –, non solo quelli che avevano partecipato all’accordo.  Il primitivo progetto dei partiti fu modificato in più punti dalla stessa Commissione che rimase comunque divisa : la maggioranza chiedeva di votare il progetto approvato, mentre la minoranza di rigettarlo integralmente (gruppi Colorados anticolegialisti e partiti minori).  Secondo la relazione di tale assise, “il Paese ha raggiunto la maturità politica che rende quasi universale nella coscienza cittadina la convinzione per cui l’esecutivo pluripersonale è il miglior regime di amministrazione e la formula che garantisce con più efficacia le libertà politiche, così come assicura le conquiste economiche e civili della società”, mentre la presidenza unipersonale, “anche in un Paese con senso civico avanzato come il nostro, è sempre un pericolo latente, che si renderà effettivo o meno, secondo la fermezza del cittadino che attua il potere”.  In effetti, a giudizio della Commissione, la Presidenza presentava tutti i pericoli del personalismo in politica ; non rispondeva sufficientemente alle necessità della specializzazione amministrativa, ma tendeva a discolparlo con la presenza del Consiglio dei Ministri, essendo questo designato dallo stesso Presidente.  Era facile sbagliarsi nella designazione di una sola persona, mentre era difficile che fallissero nove alla volta : non a caso la Commissione, nella sua relazione, citava come argomento l’esempio delle altre Repubbliche sudamericane.  Nel complesso, quindi, l’esecutivo colegiado presentava “massime garanzie di ordine, di serietà nel governo, di continuità nella gestione pubblica, di rispetto del diritto”, mentre la Costituzione del 1918 “lasciò pericoli latenti di presidenzialismo, aggravati dalla possibilità di commistione tra i due organi”, cfr. Diario Oficial n. 13.528, che pubblicò il rapporto della maggioranza della Commissione.  La Commissione trasmise il suo testo definitivo, con la relazione illustrativa, alla Camera dei Rappresentanti, il 28 agosto 1951, aprendo il dibattito nella seduta del 25 settembre 1951, cfr. Diario Oficial n. 13.525-13.531, 13.546-13.548, 13.550-13.553.  Alla Camera il testo fu approvato, con modificazioni, il 10 ottobre 1951, con 85 voti contro 14, passando quindi al Senato, che a sua volta costituì una Commissione speciale per l’esame della riforma.  Essa, dopo aver segnalato il vantaggio iniziale “dell’accordo tra i partiti maggioritari”, ritenne che la nuova organizzazione dei poteri pubblici “in un regime di compartecipazione nella responsabilità della gestione di governo”, assicurava, con grande perfezionamento, “il controllo politico interno”, cfr. M. FRAGA IRIBARNE, op. cit., 273.  Il testo fu approvato dal Senato, dopo ampi dibattiti, il 26 ottobre 1951, con 26 voti contro 4, ma, siccome furono modificate alcune disposizioni, la legge dovette ritornare all’esame della Camera che la approvò definitivamente lo stesso giorno con 74 voti contro 6.  La legge di riforma costituzionale fu così pubblicata il 27 novembre 1951, cfr. Diario Oficial n. 13.505, in attesa del referendum popolare.  Riconosce un alto livello ai dibattiti parlamentari sul progetto di riforma, rispetto a quelli ordinari, E.J. COUTURE, op. cit., 33, nonché cfr. J.B. PONS, op. cit., 55-57.

[135] Il referendum popolare si svolse il 16 dicembre 1951 e, a fronte di una bassissima affluenza alle urne (37% degli aventi diritto al voto, pari a 429.760 votanti su 1.158.939 iscritti alle liste, contro il 90% delle precedenti elezioni presidenziali), il nuovo testo rimase approvato con una maggioranza debole, pari a solo il 20% circa dell’elettorato totale (232.076 a favore, cioè il 54% ; 197.684 contro), ma comunque sufficiente a far promulgare la legge costituzionale da parte del Presidente dell’Assemblea Generale il 25 gennaio 1952, entrando in vigore il giorno stesso.  Cfr. El Día, 18 diciembre 1951 ; República Oriental del Uruguay, Corte Electoral, Registro Cívico Nacional, Nómina de los ciudadanos incorporados al registro. Habilitados para votar, 1951 ; República Oriental del Uruguay, Ley Constitucional sancionada el 26 de octubre de 1951, que será sometida a plebiscito de ratificación el 16 de dicembre de 1951, Montevideo, 1951, 3-94 ; H. GROS ESPIELL, op. cit., 163.  Il ridotto numero di votanti rifletteva certamente la mancanza di preparazione in cui l’opinione pubblica versava, ricordando che nei referendum costituzionali anteriori (del 1918, 1934 e 1942) la partecipazione era stata più elevata (anche nel 1934 quando i partiti d’opposizione decisero d’astenersi) perché essi coincisero con le elezioni politiche nelle quali i cittadini votavano per i loro candidati, il che determinava una mobilitazione civica molto superiore rispetto ad una semplice consultazione su un testo costituzionale, cfr. E.J. COUTURE, op. cit., 34.

[136] Il Colegiado trionfò nelle zone di campagna, in maggioranza blancos (128.353 sì ; 68.196 no) a dispetto della città (67.672 sì ; 100.317 no).  Altra circostanza da ricordare è che nel Dipartimento di Montevideo, le diverse circoscrizioni elettorali diedero dei risultati favorevoli man mano che ci si allontava dal centro della città e dai quartieri residenziali ; allo stesso modo un fenomeno analogo si verificò nel resto del Paese, dove i voti affermativi provenivano dalle classi sociali meno abbienti ed i contrari da quelle più agiate.  I contadini, infatti, risposero positivamente a Luis A. de Herrera, che per più di quarant’anni occupò un posto preminente nella vita politica del Paese e con il suo prestigio personale indusse la campagna a dare l’approvazione alla riforma, cfr. J.B. PONS., op. cit., 61-62.  Inoltre, il referendum costituzionale del 1951 ebbe luogo dopo le elezioni politiche del novembre 1950 nelle quali i partiti favorevoli alla riforma ottennero complessivamente 750.590 voti, che un anno dopo scesero a poco più di 232 mila : il che significa che oltre mezzo milione di elettori non appoggiarono i loro partiti ; al contrario, i partiti che nel 1951 raccomandarono di votare “no” alle politiche ottennero solo 72.527 voti, cioè ben 125 mila in meno, cfr. ib., op. cit., 35.  In tal modo i partiti che appoggiarono la riforma non le apportarono, numericamente parlando, che un contingente inferiore a quello che un anno prima potevano considerare come il loro capitale politico.  Cfr. M. FRAGA IRIBARNE, op. cit., 260.

[137] Le motivazioni che stavano alla base dell’accettazione del colegialismo integrale erano ovviamente diverse.  I batllistas con quest’accordo ottennero soddisfatta la loro volontà di avere un governo collegiale che eliminasse i pericoli dell’autoritarismo, restando fedeli al pensiero di Batlle Ordóñez, facendo diventare realtà un’idea che nella Costituzione del 1918 aveva avuto una consacrazione solo parziale.  In cambio, gli herreristi del Partido Nacional, ebbero la compartecipazione e più in particolare questi ultimi partivano dal presupposto che solo attraverso l’instaurazione dell’esecutivo colegiado si sarebbe potuto lottare per salire al potere ; non va, infatti, dimenticato che l’Uruguay presentava il fatto che dal 1865 era al potere sempre lo stesso partito, cioè quello Colorado, oltre al fatto che vi era il desiderio di limitare il potere del Presidente della Repubblica, a fronte del quale poco avevano potuto i controlli parlamentari.  Inoltre, si riteneva conveniente strutturare formule istituzionali che facilitassero l’unione o il semplice l’accordo elettorale del nacionalismo, diviso a partire dal 1933.  La convizione era che l’espansione delle attività dello Stato e dei servizi pubblici di carattere sociale, industriale e commerciale, nonché la creazione di un’enorme burocrazia, con il clientelismo elettorale che ne seguiva, obbligava a concludere che il Partido Colorado, inchiodato al potere, poteva essere combattuto solo dall’interno del governo, perché non si riusciva a lottare efficacemente contro di esso dall’esterno.  Solamente attraverso un controllore politico interno nella gestione del potere esecutivo si potevano creare le condizioni che rendevano possibile una vittoria elettorale, che recasse come conseguenza l’alternanza o la rotazione dei partiti politici al potere, cfr. : J. SECCO GARCÍA, op. cit., 11 ; H. GROS ESPIELL, El ejecutivo colegiado en el Uruguay, in “Revista de Estudios Políticos”, 1964, 163.

[138] Nel 1952 una percentuale molto alta degli articoli della Costituzione del 1942 subì modificazioni, cfr. D.U. MARTINS, H. GROS ESPIELL, Constitución uruguaya anotada, Montevideo, II, 1953.

[139] Questa tendenza alla modifica dei testi costituzionali poteva, forse, essere un difetto della vita costituzionale uruguayana, ma al tempo stesso ha mantenuto ed accresciuto un rispetto ed una devozione per i fondamenti del sistema costituzionale, dato che ogni nuova carta significò un’affermazione od un incremento dei diritti della persona umana e del sistema delle garanzie giuridiche che li tutelano, cfr. J. JIMÉNEZ DE ARÉCHAGA, Panorama institucional del Uruguay a mediados del siglo XX, in “Revista de Derecho, Jurisprudencia y Administración, XLVII, Montevideo, 1949, 217.  Inoltre, l’effettivo esercizio, per molti anni, di un’amplissima libertà, nonché l’ininterrotto godimento di tutti i diritti individuali e politici, creò uno stato di coscienza collettivo che vide in queste questioni la stabilità del regime costituzionale uruguayano, mentre considerò l’organizzazione dei poteri come qualcosa di mutevole e dettato dalle circostanze, cfr. H. GROS ESPIELL, Las Constituciones del Uruguay., Madrid, 1956, 121.

[140] Il rinnovo dei membri del Consiglio Nazionale di Governo avveniva contestualmente a quello dei parlamentari, dei componenti dei consigli dipartimentali e degli organismi autonomi : ogni quattro anno si procedeva così al ricambio di tutte le cariche di governo e dell’amministrazione pubblica.  L’edizione ufficiale della Costituzione del 1952 è pubblicata in Diario Oficial de la República Oriental del Uruguay, 4 de dicembre de 1951, núm. 13.511, ed è reperibile in H. GROS ESPIELL, op. cit., 371 ss.

[141] Per l’elezione a consigliere era necessaria la cittadinanza uruguayana ed aver compiuto i 35 anni di età (art. 152) ; gli stessi requisiti erano richiesti per i supplenti che erano eletti congiuntamente ai titolari della carica.  Si noti che il divieto di rielezione per quattro anni fu previsto anche per i Presidenti della Repubblica nelle quattro Costituzioni precedenti.

[142] Sulle reazioni della dottrina al Colegiado uruguayano del 1952, cfr. : TAYLOR, The executive power in Uruguay, Berkeley, 1951 ; R.H. FITZGIBBON, Adoption of a Collegiate Executive in Uruguay, in “Journal of Politics”, 1952, 14, 616-642 ; M. FRAGA IRIBARNE, op. cit., in “Cuadernos Hispanoamericanos”, cit., 354 ss. ; MILLIGAN, The National Council of Government of Uruguay, Montevideo, 1952 ; C. OLLERO, op. cit., 139 ; L.G. PIAZZA, República sin Presidente : Uruguay, in “Américas”, 2, 1952, 3 ; REGO OLGUIN, El poder ejecutivo colegiado, Valparaíso, 1952 ; E.J. COUTURE, Le collége executif de l’Uruguay, in “La vie judiciaire”, Paris, 23-28 febbraio 1953 ; KRASKE, Das kollegiale Staatshaupt in der Verfassung der Republik Uruguay vom 26 Oktober 1951, in “Zeit. fur ausl. öff. Recht und Völkerrecht”, XV, 1953, 259 ; M.I. VANGER, Uruguay introduces Government by Committee, in “American Political Science Review”, 1954, 2, 500-513 ; L. CORTIÑAS PELÁEZ, La afirmación de la colegialidad integral en la Constitución de 1952, in “Revista de derecho, jurisprudencia y administración”, 64, 7-9, 189-218 ; R. CAMPA, op. cit., 107-109 ; J.B. PONS, op. cit., 57-61 ; BARREIRO, Die Entwicklung des Verfassungsrechts von Uruguay, in “Jahr. öff . Rechts”, 1971 ; E.J. KERBUSCH, Das uruguayische Regierungssystem : der zweite Colegiado 1952-67, Köln, 1971.

[143] C. OLLERO, op. cit., 155.

[144] Il termine “lema” significa letteralmente motto, divisa, slogan, ed ogni partito costituisce un lema, a sua volta articolato nei sub-lemas.  Non era però obbligatorio per i partiti essere articolati in sub-lemas, né tantomeno concentrare i voti di tutte le frazioni in vista delle elezioni.  Su questa particolarità del sistema elettorale uruguayano, cfr. : P.B. TAYLOR Jr., Inter-party Cooperation and Uruguay’s Corporation, in “Western Political Quartely”, september 1954, 391-400 ; ib., The Electoral System in Uruguay, in “Journal of Politics, february 1955, 19-42 ; G.G. LINDAHL, Uruguay, in M.C. NEEDLER, Political System of Latin America, Princeton, 1964, 453-454 ; D.W. BRAY, Uruguay, in B.G. BURNETT, K.F. JOHNSON, Political Forces in Latin America, Belmont, 1968, 438-440.

[145] In tal modo, ad esempio, il Partido Nacional herrerista poteva accumulare i suoi voti con quelli del Partido Nacional Independiente, dal quale si era staccato nel 1931, in quanto entrambi erano correnti del Partido Nacional.

[146] Questo sistema è stato lungamente esaminato da MILLIGAN, The National Council of Government in Uruguay, Montevideo, 1952, 26.  Inoltre, va ricordato che il sistema del doppio voto simultaneo, ampiamente regolamentato dalla legislazione uruguayana, contribuì a mantenere l’unità elettorale dei due partiti tradizionali e con esso la stabilità politica e la continuità costituzionale.

[147] Secondo quanto previsto dal Regolamento interno del Consiglio dei Ministri del 2 settembre 1935, il Consiglio funzionava attraverso un Segretariato, nominato al di fuori del suo seno, che in precedenza dipendeva direttamente dalla Presidenza della Repubblica, cfr. A.L. BARBAGELATA, op. cit., 304-308.

[148] Cfr. H. GROS ESPIELL, El ejecutivo colegiado en el Uruguay, in “Revista de Estudios Políticos”, 1964, 165.

[149] Ai sensi della Disposizione transitoria A) della Costituzione del 1952, il primo Consiglio Nazionale di Governo entrò in funzione il 1° marzo 1952, restando in carica sino al 1° marzo 1955, ed i suoi membri furono designati a maggioranza dei due terzi dei componenti dell’Assemblea Generale, riunita in sessione speciale, entro trenta giorni dalla promulgazione della legge che approvava la riforma costituzionale.  Inoltre, sulla base della Disposizione transitoria D), il primo esecutivo collegiale fu presieduto, fino al 1° marzo 1955, dal consigliere designato a maggioranza assoluta dallo stesso organo : la carica venne assegnata all’ex Presidente della Repubblica, Andrés Martínez Trueba, che poté così concludere il suo mandato scadente per l’appunto a quella data ed in modo tale che la rinnovazione del Colegiado coincidesse con quella degli altri organi costituzionali.  Il collegio del 1952 era composto da cinque membri del gruppo “batllista” del partito Colorado : oltre ad Andrés Martínez Trueba, Héctor Alvarez Cima, Luis A. Brause, Francisco S. Forteza ed Antonio Rubio ; un componente del settore “Colorado riverista” : Eduardo Blanco Acevedo ; nonché, tre membri del gruppo “Nacional herrerista” del partito Blanco : Roberto Berro, Martín R. Echegoyen ed Alvaro Vargas Guillemette.  Questo primo Colegiado procedette subito dopo alla designazione del governo, ma i blancos non accettarono nessun posto nel Consiglio dei Ministri, in quanto il loro capo Herrera affermò che : “Dal Consiglio controlleremo e collaboreremo, ma non andremo a governare direttamente.  Tutti i Ministri sono colorados : tre della fazione controllata dai figli di Batlle ; quattro della “luisista” e due “riveristas”.  Quasi tutti sono professori, avvocati, giornalisti”, cfr. M. FRAGA IRIBARNE, op. cit., 261.  Alla presidenza di Andrés Martínez Trueba seguirono quelle colorados di : Luis Conrado Batlle y Berres (1955-1956), Alberto Fermín Zubiría (1956-1957), Arturo Lezama (1957-1958), Carlos L. Fischer (1958-1959), nonché quelle blancos di : Martín Echegoyen (1959-1960), Benito Nardone (1960-1961), Eduardo Víctor Haedo (1961-1962), Escribano Faustino Harrison (1962-1963), Daniel Fernández Crespo (1963-1964), Luis Giannattasio (1964-1965), Washington Beltrán (1965-1966), Alberto Heber Usher (1966-1967).

[150] Sulle competenze del Consiglio Nazionale di Governo, cfr. C. OLLERO, Uruguay. La reforma constitucional de 16 de dicembre de 1951 : el esecutivo “colegiado”, in “Revista de estudios políticos”, 1952, 143-147.

[151] Cfr. H. GROS ESPIELL, op. cit., 165.

[152] Sul funzionamento del Consiglio Nazionale di Governo previsto dalla Costituzione del 1952, cfr. E.J. COUTURE, op. cit., 40-41.

[153] La carta del 1952 non introdusse modifiche circa il potere legislativo che continuò ad essere esercitato dall’Assemblea Generale, costituita dalla Camera dei Rappresentati e da quella dei Senatori, composte rispettivamente da 99 e 31 membri, tutti eletti con sistema proporzionale per quattro anni.  In tema di veto dell’esecutivo alle leggi, era previsto che, dopo aver ricevuto un progetto di legge, il Consiglio Nazionale di Governo avesse la facoltà di opporvi delle osservazioni, rimettendolo, entro dieci giorni, all’Assemblea Generale che poteva confermare il suo testo a maggioranza dei tre quinti dei membri presenti.  In caso di rigetto del progetto rinviato dall’esecutivo, lo stesso perdeva ogni effetto e non poteva essere nuovamente ripresentato nella medesima legislatura.  Sul procedimento di elaborazione delle leggi secondo la Costituzione del 1952, cfr. R. CAMPA, op. cit., 143-145.

[154] A tal proposito la Commissione speciale della Camera dei rappresentanti si espresse nel senso che : “Il testo proposto (art. 147), comporta una reale differenza di concezione circa la parlamentarizzazione del governo. L’aspirazione fondamentale e determinante della riforma era la soppressione della Presidenza della Repubblica e la sua sostituzione con un potere esecutivo pluripersonale, per cui risulta fatalmente necessario mutare il regime delle relazioni tra i poteri.  Si mantiene la responsabilità dei Ministri davanti al Parlamento ma, non può essere diversamente, la facoltà di scioglimento delle Camere, attribuita al Presidente della Repubblica dalla Costituzione in vigore, scompare.  La censura votata dall’Assemblea Generale nelle condizioni costituzionalmente richieste determina le dimissioni immediate del o dei Ministri ai quali è indirizzata ed il potere esecutivo dovrà sottomettersi immediatamente, senza possibilità di discussione, alla determinazione del legislativo, cfr. ib., op. cit., 42.  Per una critica sulla mancata possibilità di sciogliere le Camere da parte dell’esecutivo, cfr. J. SECCO GARCÍA, op. cit., 12.

[155] La Costituzione del 1830 non prevedeva la Vicepresidenza : secondo l’articolo 77, il Presidente era sostituito da quello del Senato.  Secondo la Costituzione del 1918 (che nemmeno prevedeva il Vicepresidente) in caso di assenza del Capo dello Stato, subentrava il membro del Consiglio Nazionale che questi designava (art. 75).  La Costituzione del 1934 (art. 147) e quella del 1942 (art. 146) avevano invece previsto questa carica, il cui titolare assumeva la Presidenza del Senato (ma con la riforma del 1936 fu attribuita alternativamente, ogni due anni, al primo candidato della lista vincente e di quella perdente).  Nella carta del 1942, il Vicepresidente, così come il Presidente, erano eletti per quattro anni, con la proibizione di essere rieletti nel periodo immediatamente successivo.  Secondo la Disposizione transitoria C), il Vicepresidente che era in carica divenne Presidente del Senato e dell’Assemblea Generale (funzioni che già gli spettavano ai sensi dell’art. 85 della Costituzione del 1942).  Inoltre, a partire dal 1955, la carica di Presidente della Camera dei rappresentanti fu attribuita al primo della lista più votata all’interno del partito vincente.

[156] Gli articoli da 140 a 144 della Costituzione del 1942 regolavano il potere presidenziale di dissoluzione del legislativo, riservando al Capo dello Stato la possibilità di “osservare” le votazioni di censura o di disapprovazione della politica del Governo, quando furono pronunciate da meno dei due terzi del totale dei membri dell’Assemblea Generale.  Se questa manteneva la censura con una votazione inferiore ai suoi tre quinti, il Presidente poteva scioglierla.  Ma questa facoltà era esercitabile una sola volta, nel caso di sfiducia non collettiva, all’interno di ogni mandato ministeriale.

[157] Al riguardo la già citata relazione della Commissione dei Venticinque parlava di : “una vera modificazione concettuale, ritornando al proposito di parlamentizzare il governo, poiché, di fronte alla divisione dell’esecutivo, deve scomparire questo privilegio.  In cambio, sussiste la responsabilità dei Ministri, che continuano sottomessi alla censura parlamentare (art. 147 e 148). 

[158] D’altra parte, la Costituzione del 1952 mantiene il principio per cui un terzo dei membri di ogni Camera può in ogni momento “far venire in aula i Ministri dello Stato al fine di chiedere e ricevere le informazioni che ritengono convenienti, sia con fini legislativi, che di ispezione o di fiscalità”, come affermato dalla Commissione dei Venticinque.  Inoltre, i deputati ed i senatori che assumevano la carica di consigliere nazionale, Ministro o Sottosegretario, restavano sospesi dalle loro funzioni legislative ed erano sospesi da un supplente.  Cfr. : P. BLANCO ACEVEDO, El derecho de interpelación en las Constituciones de 1830 y 1917, Montevideo, 1939 ; A. LERENA ACEVEDO, Comisiones parlamentarias de investigación, Montevideo, 1946.  Si veda anche La Comisión Permanente (lavoro del “Seminario de Derecho Constitucional de la Facultad de Derecho y Ciencias Sociales”), Montevideo, 1944-’45.

[159] Tale responsabilità era estesa anche ai membri delle due Camere, della Suprema Corte di Giustizia, del Tribunale del Contenzioso Amministrativo e della Corte Elettorale.  Inoltre, per i consiglieri ed i Ministri, continuava ad essere previsto l’obbligo di residenza nella Repubblica per i sei mesi successivi alla data di scadenza del mandato, salva autorizzazione dell’Assemblea Generale rilasciata a maggioranza assoluta dei suoi componenti (artt. 172 e 178).  Altresì, i Ministri non erano esenti da responsabilità anche se invocavano l’ordine scritto o verbale del Consiglio (art. 179).

[160] Il territorio dell’Uruguay è diviso in 19 Dipartimenti : Artigas, Salto, Paysandú, Rio Negro, Soriano, Colonia, Rivera, Tacuarembó, Durazno, Flores, Florida, San José, Montevideo, Canelones, Cerro Largo, Treinta y Tres, Lavalleja, Rocha, Maldonado.  A loro volta, i Dipartimenti si suddividono in circoscrizioni, le Secciones.  Cfr. R. CAMPA, op. cit., 92-93.

[161] In tema di autonomia degli Enti Locali, secondo la carta del 1934, i Municipi non potevano stabilire imposte, né contrattare prestiti, prevedendo in queste materie la decisione del Parlamento.  La successiva Costituzione del 1942 introdusse solo lievi modifiche relativamente al Governo dipartimentale, con la variazione del numero e della distribuzione delle cariche delle Giunte, nonché la modifica del sistema di elezione degli Intendenti.  Cfr. J. JIMÉNEZ DE ARÉCHAGA, op. cit., 82 e 95.  La Costituzione del 1952 ha invece sanzionato ampiamente l’autonomia finanziaria dei governi dipartimentali.  A tali organi erano attribuiti come fonte di introiti, decretati e gestiti da essi, le imposte sulla proprietà immobiliare, i contributi per le migliorie, le tasse, le tariffe ed i prezzi dei servizi, le concessioni, le imposte generali, le multe, le rendite di beni propri, ecc. (artt. 297 e 298).  Tuttavia, l’autonomia finanziaria dei governi dipartimentali restava sottoposta alla supervisione del Consiglio nazionale di governo che poteva, entro 15 giorni, appellare davanti all’Assemblea Generale i decreti dipartimentali che creano o modificano i tributi.  Seguendo una tradizione già esistente nelle precedenti Costituzioni, il testo del 1952 ha destinato due capitoli, l’XI ed il XII, a regolare il sistema dei ricorsi contro gli atti illegali del governo dipartimentale, nonché quello dei referendum e delle iniziative popolari.  Cfr. R. CAMPA, op. cit., 140-143.

[162] A ciò si aggiunse anche un rafforzamento dell’autonomia dipartimentale a spese del Governo centrale e, soprattutto, dei Municipi, restringendo le possibilità di intervento dell’esecutivo.  Quest’ampliamento di autonomia fu bilanciata da un sistema di ricorsi, poiché contro gli atti di governo era possibile esperire il ricorso politico davanti all’Assemblea Generale ; contro gli atti di amministrazione si poteva ricorrere nanti al Tribunale del Contenzioso Amministrativo ; mentre i decreti di carattere generale potevano essere oggetto del ricorso di incostituzionalità o di illegittimità, con quest’ultimo che poteva aversi anche nel caso di violazione di un interesse legittimo, senza la necessità che si configurasse un diritto soggettivo.

[163] Il Presidente del Consiglio di governo, Luis Batlle, che non fu sempre entusiasta del Colegiado, fece un apprezzamento positivo del sistema caratterizzato da “una maggioranza composta da sei consiglieri, la quale ha l’obbligo di orientare, dirigere, governare, ed “una minoranza con la funzione principale di controllare, vigilare e, per quanto possibile, collaborare”, cfr. M. FRAGA IRIBARNE, op. cit., 274.

[164] Così nella lettera a M. Jarvis, mentre, nella missiva a J.C. Cabelle, Jefferson affermava che : “Quando non c’è un solo uomo, nello Stato, che non sia membro di uno dei suoi Consigli, grande o piccolo, ciascuno si lascerà strappare il cuore piuttosto che lasciar rapire il potere da un Cesare o un Bonaparte”, cfr. ib., op. cit., 50. 

[165] L’Uruguay deteneva un eccellente livello in materia di assistenza sociale attraverso il Ministero della Salute Pubblica, l’Istituto Nazionale del Lavoro, l’Istituto Nazionale delle Case Economiche, ecc.

[166] Cfr. H. GROS ESPIELL, op. cit., 170.

[167] Nel settembre 1952 i lavoratori del trasporto urbano di Montevideo posero in essere una serie di scioperi al fine di ottenere aumenti salariali, e lo stesso avvenne negli enti parastatali, il che dimostrava come le preoccupazioni erano molto distanti dai formalismi che si dibattevano.  Non pochi segnalarono che i problemi urgenti erano altri, come il 20% di analfabeti, i 200 mila uruguayani che vivevano in miseria, il ritardo accumulato dalla legislazione sociale, la crescente concentrazione della proprietà immobiliare, la riduzione delle aree seminate, il problema della casa, lo spopolamento delle campagne, ecc., cfr. M. FRAGA IRIBARNE, op. cit., in “Quadernos hispanoamericanos”, cit., 362.  Il Parlamento accordò immediatamente poteri speciali al Consiglio di governo con lo scopo di mantenere l’ordine pubblico, ed i negoziati si conclusero con la fine degli scioperi e la ripresa della circolazione dei mezzi pubblici.  Nel 1958, nuovamente, la Giunta di governo utilizzò la forza quando gli studenti dell’Università di Montevideo, appoggiando la proposta di una nuova legge organica, si abbandonarono ad atti di violenza.  Così come avvenuto nel 1952, il governo da un lato utilizzò la polizia al fine di ristabilire l’ordine e dall’altro risolse legalmente il problema.  Su questi eventi, cfr. M. ALISKY, op. cit., 83-84.  Non pochi segnalarono che i problemi urgenti erano altri, come il 20% di analfabeti, i 200 mila uruguayani che vivevano al di sotto della soglia di povertà, la crescente concentrazioni della proprietà immobiliare, lo spopolamento delle campagne,

[168] Vale la pena di ricordare come anche la Costituzione del 1952 determinò una rotazione dei partiti politici al potere.  Nelle elezioni del 1946 il Partido Colorado aveva ottenuto 310.496 voti ; il Partido Nacional, 208.120, ed il Partido Nacional Independiente, 62.955.  Nel 1950 il Partido Colorado ottenne 433.454 voti ; il Partido Nacional, 254.834, ed il Partido Nacional Independiente, 62.701.  Nel 1954, nelle prime elezioni sotto il regime colegiado, il Partido Colorado ottenne 444.429 voti, passando così dal 52,6% dei voti al 50,5%, il Partido Nacional, 309.818, con un aumento dal 30,9% al 35,2%, mentre il Partido Nacional Independiente, 32.341.  Nel 1958, con la seconda votazione sotto il regime colegiado, il Partido Nacional ottenne 499.425 voti, salendo al 49,7% e ritornando così al potere dopo ben 93 anni.  Il Partido Nacional Independiente, scomparì a seguito dell’unione totale del partito, mentre il Partido Colorado giunse solamente a 379.062 voti, scendendo così al 37,8% dei voti.  Infine, nel 1962, il Partido Nacional mantenne il governo ottenendo 545.029 voti, a fronte dei 521.231 voti del Partido Colorado.

[169] Cfr. A.R. LEAL, Los Decretos-Leyes, Montevideo, 1946, e la Legislación para la defensa política de las Repúblicas americanas, Montevideo, 1947.

[170] Cfr. in tema E.J. COUTURE, op. cit., 41.

[171] Per tale ragione questa critica, certa da un punto di vista teorico, sarebbe, invece, inconsistente, cfr. H. GROS ESPIELL, op. cit., 116.

[172] Cfr. J. JIMÉNEZ DE ARÉCHAGA, op. cit., III, 14 ss.

[173] Del resto la compartecipazione non importava obbligatoriamente la collaborazione nella gestione del governo, ma solamente la composizione necessaria del Consiglio, con i rappresentanti dei due partiti storici.  In realtà, questa compartecipazione implicava, sebbene con formule costituzionali differenti, di giungere allo stesso fondamento politico che stava alla base della Costituzione del 1934.  Questa finalità che allora fu raggiunta per mezzo della composizione bipartisan del Senato, della ripartizione dei ministeri e delle maggioranze speciali, nel 1952 si cercò attraverso la distribuzione delle cariche nel Consiglio di governo, con la nomina dei vertici degli enti autonomi e dei servizi decentralizzati e l’instaurazione delle stesse maggioranze speciali che aveva previsto la carta del 1934 per la designazione da parte dell’Assemblea Generale dei membri della Corte Suprema di Giustizia, del Tribunale del Contenzioso Amministrativo, della Corte Elettorale e del Tribunale dei Conti.  Cfr. : M. FONSECA, La política de coparticipación, Montevideo, 1951 ; H. GROS ESPIELL, op. cit., 114.

[174] Nel 1954, quando cominciarono a sorgere le prime critiche all’esperienza colegialista del 1952, H. Gros Espiell nel suo Las Constituciones del Uruguay, pubblicato a Madrid nel 1956, scrisse : “Non si può ancora fare un bilancio dei meriti e delle lacune della Costituzione del 1952.  Forse sarà riformata in alcuni aspetti, ma indubbiamente molte delle sue conquiste, specialmente quelle tendenze volte ad aumentare i controlli giuridici, rimarranno come un progresso ineludibile della nostra evoluzione costituzionale.  In cambio, i difetti che si segnalano possono essere in gran parte lacune della struttura politica del Paese e non del regime costituzionale”.  Ancora, in un editoriale apparso sul quotidiano “Tribuna” di Montevideo, lo stesso giurista uruguayano affermò che : “Abbiamo sempre sostenuto che affermare che il problema fondamentale del Paese sia radicato nella riforma costituzionale e che un cambio del sistema di organizzazione del potere esecutivo debba essere la panacea che risolve i più gravi problemi attuali, costituiscono non solo un’impostazione scorretta, ma anche una forma pericolosa d’inganno politico della cittadinanza ed un riconoscimento della propria incapacità al fine di pianificare e risolvere le vere gravi questioni che attanagliano il Paese.  Non saremo noi quelli che dovranno difendere l’attuazione del Consiglio di governo, ma la verità è che la pesantezza deliberativa, la mancanza di capacità di soluzione, il predominio del dettaglio e l’incapacità al fine di trattare i grandi problemi con decisione ed energia, non sono un contenuto necessario della struttura colegiada.  E’ certo che il Colegiado rende possibili tutti questi estremi e li favorisce di più rispetto ad un sistema unipersonale, ma non è meno certo che la situazione attuale è fondamentalmente il risultato di una struttura politica difettosa, di una mancanza di unità, di fermezza, di coerenza e di organizzazione dei partiti politici e dell’incidenza di fattori personali che avessero prodotto sempre conseguenze deplorevoli, qualsiasi fosse il sistema di governo adottato.  Con il sistema colegiado o con un regime unipersonale, con un presidenzialismo forte o con un parlamentarismo importato, i risultati saranno sostanzialmente uguali se non si muta la struttura politica, se continuano ad esserci partiti senza unità e coerenza, se non si modificano le abitudini di governo e se non si affronta l’azione esecutiva con un altro criterio.  Non dobbiamo negare l’importanza delle norme costituzionali, non abbiamo, nemmeno, da discutere la necessità di migliorare i testi vigenti e di correggere i difetti indubitabili dell’attuale organizzazione del potere esecutivo : ma in cambio neghiamo che questa riforma possa essere il problema chiave della Repubblica.  Dire ciò significa ingannare il Paese, distraendolo dai grandi problemi e dalle sue necessarie soluzioni con un appiglio prestigioso, ma la cui impostazione – per il carattere con cui si realizza – lascia senza risposta i gravi problemi dei quali c’è da parlare e le soluzioni radicali che ci sono da proporre”.

[175] Si esprime, invece, a favore dei vantaggi del sistema colegiado, H. GROS ESPIELL, op. cit., 115, secondo cui l’azione amministrativa del Consiglio fu tanto intensa e rapida come avrebbe potuto esserlo quella della Presidenza della Repubblica.  La mancanza di decisione nel risolvere i grandi problemi del Paese non era imputata ad una questione di struttura costituzionale, bensì ad una crisi dell’organizzazione dei partiti politici, che avrebbe impedito loro di agire con la necessaria efficacia.  La mancanza di coordinamento tra l’esecutivo ed il Parlamento, manifestata in un’evidente assenza di appoggio nella gestione del primo, aveva la stessa causa, visto che i partiti maggioritari che sedevano nel Consiglio di governo e nelle Camere non avevano un’unità di indirizzo.

[176] Cfr. al riguardo i giudizi espressi da J. SECCO GARCÍA, op. cit., 13.

[177] Cfr. ib., op. cit., 16.

[178] Cfr. J.J. ARTEAGA, op. cit., 220.

[179] La divisione delle cariche costituzionalizzava, all’art. 187, il patto tra i partiti del 1924, divenuto legge nel 1931.  I candidati erano proposti, “durante la seduta del Consiglio Nazionale di Governo”, dai rappresentanti della maggioranza e dell’opposizione, cosicché, in realtà, erano i partiti che eseguivano un atto di governo.  Il Senato poteva effettuare osservazioni, entro quindici giorni, sulle condizioni dei candidati proposti che, se erano approvate dai tre quinti dei voti determinavano la decadenza delle designazioni e dovevano effettuarsene di nuove.  Il Consiglio, dal canto suo, su proposta dei due schieramenti, poteva porre nel nulla le proposte, se approvate da una maggioranza inferiore ai tre quinti, proponendo dei nuovi nominativi.  Cfr. Administración General de las Usinas Eléctricas y los Teléfonos del Estado, Memoria UTE, 1955 ; Public administration problems in Montevideo in 1955 are discussed in United Nations, Technical Assistance Administration, Capacitación y administración del personal público, New York, 1956 ; Instituto de Estudios Políticos para América Latina, Uruguay : un país sin problemas en crisis, Montevideo, 1967, 36-41.

[180] Questo sistema, che assicurava la rappresentanza dell’opposizione negli enti statali, non era che una nuova formulazione, tesa alle stesse finalità, dell’art. 183, comma 3, della Costituzione del 1934.

[181] Cfr. M. FRAGA IRIBARNE, op. cit., 259.

[182] Persino al Tribunale del Contenzioso Amministrativo ed alla Corte Suprema, cui competeva il giudizio di costituzionalità delle leggi, fu applicato il sistema dei principali partiti, nella proporzione dei due terzi e di un terzo ; misura questa che fu una delle più criticate da chi riteneva che almeno i Tribunali dovessero restare al margine della politica dei partiti.  Il docente di diritto costituzionale dell’Università di Montevideo, J. Jiménez de Aréchaga, nella sua relazione al Consiglio Centrale Universitario, concluse affermando : “Si tende a rafforzare gravemente il potere dell’esecutivo centrale ed a portare tanto lontano quanto più sia possibile la distribuzione delle cariche pubbliche tra i due maggiori gruppi elettorali”, cfr. ib., op. cit., 259.

[183] Nelle elezioni del novembre 1954 si ebbe un’ennesima vittoria del Partido Colorado che ottenne più del 50% dei consensi, ed al suo interno le forze batllistas rappresentarono il 90%, di cui il 57% era della corrente di Batlle y Berres.  Il secondo Consiglio Nazionale di Governo del quadriennio 1955-1959 fu però l’ultimo dei colorados e del batllismo, in quanto il 30 novembre 1958, a fronte di 1,4 milioni di iscritti al voto e di poco più di un milione presentatisi alle urne (71% di affluenza) il Partido Blanco vinse le elezioni con uno scarto di circa 120 mila voti sul Partido Colorado, mentre 210 mila voti andarono agli altri partiti (12,5%), cfr. M. ALISKY, op. cit., 86.  All’interno del partito vincente, l’herrerismo ottenne il 48% e l’Unión Blanca Democrática (composta da ex herreristas e Nacionalistas independientes), il 46% : per la prima volta nel XX secolo, il Partido Nacional trionfò a Montevideo, tradizionale feudo del batllismo.

[184] Più precisamente era una frazione dei blancos, la Liga Federal de Acción Ruralista, nata nel 1951 e guidata da Benito Nardone, che mobilitava attorno a sé grandi proprietari terrieri, affittuari, mezzadri e piccoli agricoltori, per condurre una martellante campagna contro uno Stato accusato di trasferire la ricchezza verso il mondo urbano e di favorire un’industria incapace di crescere, se non all’ombra del protezionismo statale.  Nel 1958 il ruralismo decise di allearsi con l’herrerismo e anche se non è possibile sapere quanti voti vi apportò esattamente, né se essi furono imprescindibili ai fini della vittoria nacionalista, molto probabilmente essi fecero la differenza e Nardone svolse un ruolo importante nella sconfitta colorada con la sua energica campagna distruttiva del batllismo.  Sul ruralismo, cfr. : R. JACOB, Benito Nardone, el ruralismo hacia el poder (1945-1958), Montevideo, 1981 ; J.J. ARTEAGA, op. cit., 232-237. 

[185] Al governo dopo una secolare supremazia dei colorados (ben 93 anni dal 1865 : prima con la forza e poi dal 1919 con garanzie democratiche), i blancos adottarono misure tese a smantellare le basi del nazionalismo riformatore dei loro avversari : liberalizzazione del mercato dei cambi, contenimento della spesa pubblica e più in generale predominio del settore agroesportatore e del capitale finanziario nella gestione della politica economica.  Ma l’adozione di tali misure si rivelò un antidoto di scarsa efficacia e soprattutto fece venir meno la stabilità politica imperniata sull’equa distribuzione delle risorse tra i vari ceti sociali ; sul periodo blanco d’inizio anni Sessanta, cfr. W. BELTRÁN, Pamperada blanca. 1959-1967, Montevideo, 1989, nonché J. DE TORRES WILSON, Brevísima historia, cit., 57-60.  Il problema era che il coloradismo era ormai identificato con lo Stato ed il nacionalismo con l’opposizione : il perdurare per lungo tempo di questa situazione determinò una “cultura” del governo e dello Stato per i primi ed una “cultura” dell’opposizione per i secondi, nonostante questa qualificazione fosse stata temperata dall’esperienza della compartecipazione al governo.  Sul processo sfociato nella vittoria nacionalista del 1958, cfr. J.J. ARTEAGA, op. cit., 237-241.

[186] Il Partido Nacional fu vincitore anche nelle elezioni del 1962, ma con una maggioranza più stretta rispetto al 1958 (545.029 voti contro i 521.231 del Colorado : 47 seggi alla Camera su un totale di 99), ed al suo interno vinse l’alleanza tra l’UBD e l’herrerismo a scapito del ruralismo, cfr. J.J. ARTEAGA, op. cit., 248.

[187] L’instabilità fu una delle principali caratteristiche del primo Colegiado blanco che dovette negoziare ogni misura, compresa la legge più importante che definì la linea di governo, cioé la legge di riforma cambiaria e monetaria che richiese mese di estenuanti trattative, cfr. J.J. ARTEAGA, op. cit., 242-243. Le elezioni del 1966 segnarono così il ritorno al potere dei colorados (50 seggi alla Camera su 99), ed in particolare della lista capeggiata da Óscar Diego Gestido e Jorge Pacheco Areco, fautori del ritorno alla formula dell’esecutivo unipersonale.  Cfr. F. FIORANI, op. cit., 102, 105.

[188] Si pensi che colorados e blancos presentarono alle elezioni politiche del 1962, rispettivamente 17 e 53 liste diverse nella sola Montevideo e ben 146 e 204 negli altri Dipartimenti del Paese (e tale numero passò quattro anni più tardi a 230 per ognuno dei due partiti in tutto l’Uruguay), cfr. F. FIORANI, op. cit., 104.  Va altresì ricordato che la situazione interna dei partiti politici si aggravò con la morte dei loro principali leaders : Nardone (ruralismo) nel marzo 1963, mentre Batlle Berres (colorados) e Crespo (blancos), nel luglio successivo.  L’assenza di questi dirigenti carismatici lasciò la situazione in mano a gregari e frammentò ancora di più i partiti tradizionali.

[189] Nell’agosto 1959, i dipendenti di alcuni servizi pubblici entrarono in sciopero, lasciando così tutto il Paese senza servizi telefonici ed elettricità per una settimana.  Per buona parte del 1959 e per tutto il 1960, gli scioperi delle imprese di servizi pubblici e delle principali industrie diventarono sempre più frequenti ; nel 1965 vi furono ben 145 serrate e 43 scioperi.  Cfr. M. ALISKY, op. cit., 86.

[190] A metà degli anni ’50 gli indicatori economici evidenziarono una perdita di dinamismo destinata a minare l’equilibrio che aveva consentito al Paese di rappresentare un modello di integrazione sociale e di stabilità politica.  Nel periodo 1945-’54 l’industria segnò una crescita annuale di circa il 6%, ma gli alti valori registrati dalle esportazioni agricole erano dovuti solo al rialzo delle quotazioni internazionali per effetto della guerra di Corea.  L’accumulazione di riserve in valuta straniera nel corso della seconda guerra mondiale e la relativa autonomia di cui godeva un’economia legata all’Europa permisero di avviare la strategia di sostituzione delle importazioni, ma non poterono compensare la vulnerabilità di un modello di sviluppo le cui uniche possibilità di successo dipendevano dal persistere di condizioni favorevoli, quali investimenti e tecnologia straniera che avrebbero indirettamente ampliato i consumi di un mercato interno, peraltro di ridotte dimensioni.  Così l’Uruguay entrò in una fase di recessione ed il valore della sua produzione pro-capite crollò nonostante il tasso di crescita della popolazione (circa l’1,2%) fosse tra i più bassi dell’America latina.  Il volume delle esportazioni scese vertiginosamente tra il 1954 ed il 1956 e le tradizionali voci del settore primario (agricoltura ed allevamento) registrarono una sensibile contrazione, dal 9% del periodo 1943-’53 al 2,6% annuale nel decennio successivo.  Ricordiamo inoltre che, in rappresaglia della politica uruguayana di concessione dell’asilo ai rifugiati politici argentini, Juan Domingo Perón, impose restrizioni ai viaggi ed alle relazioni commerciali con l’Uruguay, il quale per protesta, nel 1963, ruppe le relazioni diplomatiche con l’Argentina.  Nel 1956, al fine di migliorare la sua situazione economica, l’Uruguay firmò una serie di accordi commerciali con la Cina ed i paesi del blocco socialista : tuttavia, neanche queste misure riuscirono ad impedire la crisi economica.  Sul periodo di crisi economica uruguayana di fine anni Cinquanta-inizio anni Sessanta, cfr. : R. ALONSO ELOY, C. DEMASI, Uruguay 1958-1968. Crisis y estancamiento, Montevideo, 1986 ; F. FIORANI, op. cit., 100-101.

[191] Gli economisti del FMI consigliarono al governo di recuperare la stabilità economica per mezzo di una maggiore produttività, fissando un termine per l’espansione dei programmi e dei sussidi.  Il FMI segnalò correttamente il fatto che l’Uruguay portò avanti programmi per la maggioranza dei cittadini, con un costo superiore a quello che annualmente incamerava come prodotto interno lordo.  Otto anni più tardi, a metà del 1967, il FMI diede nuovamente altre indicazioni al fine di superare la crisi, ma la risposta del governo, sia nel 1959, che nel 1967 fu contrastante.  Il Consiglio Nazionale di Governo studiò nel 1959 la relazione del FMI per diverse settimane, prima di proporre al Parlamento una serie di moderate riduzioni di bilancio.  Cfr. : El Día, 1° diciembre 1959 ; Buenos Aires Herald, december 10, 1959 ; Mensaje del presidente de la República Oriental del Uruguay, Montevideo, 1959, 3-18.  Nel 1967, quando ormai il Colegiado non esisteva più, il Presidente Óscar Diego Gestido, nel breve lasso di due settimane da quando ricevette la relazione del FMI, fece elaborare un dettagliato programma di austerità, ma ciò non riuscì a porre fine all’inflazione, cfr. Cámara de Representantes, Comisión de Hacienda, Ley de Emergencia, julio 1967 ; Newspaper summaries in “Extra”, july 5 and 7, 1967.

[192] In ambito politico si aggiunse un’ulteriore frammentazione dei partiti, cfr. J.J. ARTEAGA, op. cit., 244-248.

[193] Cfr. M. ALISKY, op. cit., 79 ss.

[194] Alle soglie degli anni Cinquanta l’Uruguay deteneva il più alto reddito pro-capite dell’America latina, mentre l’industria era favorita da una politica statale orientata alla sostituzione delle importazioni.  Inoltre nel corso della presidenza di Luis Batlle y Berres la crescita economica e l’aumento dei consumi si accompagnarono a nuove misure di legislazione sociale di cui beneficiarono i ceti medi e le classi popolari urbane.  Cfr. F. FIORANI, op. cit., 101.

[195] La crisi del mercato laniero portò con sé un crescente gap tra importazioni ed esportazioni, che, nel 1949, rappresentavano, rispettivamente, 181.718.000 e 191.660.000 Dollari USA, passando a 201.700.000 e 254.300.000 Dollari USA nel 1950, e 373.000.000 e 236.300.000 Dollari USA nel 1951, cfr. M. FRAGA IRIBARNE, op. cit., 275, nota 97.

[196] Alla recessione economica ed al deficit delle finanze pubbliche si unì la rapida crescita dell’inflazione che nel 1959 raggiunse un tasso del 40%.  In sostanza, si determinò una situazione nella quale il modello di consenso uruguayano vide erodersi alcuni dei suoi fondamenti storici.  Il settore pubblico, sottoposto alle pressioni di un apparato produttivo incapace di assorbire la disoccupazione, ridusse l’efficienza dei servizi e diminuì la quota dei suoi investimenti.  Quello privato, in condizioni di crescente incertezza e di recessione dell’industria, canalizzò il risparmio verso operazioni speculative che mettevano a nudo lo squilibrio provocato da una strategia economica entrata in crisi.  Cfr. : J.M. LAMAS, Riqueza y pobreza del Uruguay, Montevideo, 1964 ; H.E. DALY, The Uruguayan Economy : Its basic nature and current problems, in “Journal of Inter-America Relations”, july 1965, 316-330 ; E. IGLESIAS, Uruguay : una propuesta de cambio, Montevideo, 1966, 31-39.  In questa atmosfera di frustrazione economico-politica, il Partito Comunista uruguayano ne approfittò per intensificare la sua azione sugli studenti ed i movimenti operai che guardavano alla violenza, cfr. : R.J. ALEXANDER, Communism in Latin America, New Brunswick, 1957, 36, 73 ; Official report of the Communist Party of Uruguay by its secretary general, in R.S. ARISMENDI, Some Problems of Ideological Struggle, Moscow, 1963 ; R.E. POPPINO, International communism in Latin America, Glencoe, 1964, 201, 228 ; Institute for the Comparative Study of Political Systems, Uruguay Election Factbook, novembre 27, Washington, 1966, 22, 24, 29.

[197] Nel 1958 un progetto era sostenuto dall’Unión Cívica che si ispirava alla Costituzione del 1942, modificata in alcuni aspetti, mentre l’altro era appoggiato dal gruppo colorado dell’herrerismo e dalla Liga Federal de Acción Ruralista.  Le riforme, come già ricordato, al fine di entrare in vigore, dovevano essere approvate dalla maggioranza dei votanti, pari ad almeno il 35% del corpo elettorale, ma esse ottennero rispettivamente 153.662 (11%) e 235.941 voti (17%) mentre nel 1958 il quorum era pari a 493.283 voti, cfr. H. GROS ESPIELL, op. cit., 167 ; J.J. ARTEAGA, op. cit., 236-237.

[198] Nel 1962 la proposta di riforma, che prevedeva tra le altre cose la soppressione del sistema colegiado, era sempre caldeggiata, come quattro anni prima, dall’Herrerismo e dalla Liga Federal, ma non riuscì ad essere approvata perché, a fronte di un totale di iscritti al voto pari a 1.518.297 ed un totale di votanti di 1.171.200, votarono favorevolmente solo 195.623 persone, cfr. ib., op. cit., 167.

[199] Si convertirono a favore della riforma costituzionale anche l’Unión Blanca Democrática (composta da ex herreristas e Nacionalistas independientes), nonché una frazione maggioritaria del Batllismo che abbandonò la teoria colegialista.

[200] Conformemente a Costituzione il Partido Colorado aveva presentato un’iniziativa popolare raccogliendo le necessarie sottoscrizioni dei cittadini pari ad oltre il 10% degli elettori (circa 600 mila firme), mentre quello Nacional aveva ottenuto l’appoggio alla sua proposta di più dei due quinti dei componenti l’Assemblea Generale.

[201] All’interno del coloradismo prese l’iniziativa un nuovo dirigente, Jorge Batlle Ibáñez, che si avvalse della collaborazione di un giovane deputato, Julio María Sanguinetti Cairolo.  In quanto batllistas, non era però facile per gli stessi lottare contro una delle idee fondamentali di Batlle Ordóñez e Ibáñez motivò questo affermando che : “E’ necessario ritrovare una formula costituzionale per il potere esecutivo che eviti i due grandi mali che l’esperienza storica ha segnalato : un esecutivo forte ed arbitrario o un Consiglio irresponsabile”, mentre solo un settore minoritario del batllismo rimase a favore del Colegiado, cfr. J.J. ARTEAGA, op. cit., 255-256.

[202] Nel Partido Nacional l’iniziativa fu assunta da due consiglieri nazionali, Washington Beltrán ed Alberto Héber Usher (ultimo Presidente del Consiglio di governo), che appoggiarono la proposta del senatore Martín Echegoyen dell’herrerismo-ruralismo, nonostante fosse nota la reticenza dei blancos verso il presidenzialismo, di fronte ad una congiuntura elettorale nella quale era molto probabile il ritorno al potere dei colorados, cfr. ib., op. cit., 256.

[203] Ai lavori della Commissione interpartitica, che si aprirono il 16 giugno 1966 e si protrassero per due mesi, parteciparono i delegati del Partido Colorado, del Nacional, della Democracia Cristiana e del Movimento Cívico Cristiano, staccatosi dalla precedente.  Furono nominati varie sottocommissioni al fine di facilitare il compito di redazione della carta e si definirono le basi che vennero successivamente presentate all’attenzione dei vari gruppi politici per la loro approvazione.

[204] In tal modo sfruttando il dettato della Costituzione che dava la possibilità all’Assemblea Generale di formulare progetti sostitutivi da sottoporre a referendum, unitamente all’iniziativa popolare (art. 331), cfr. Publicación Informativa de la Asamblea General.  Il progetto della nuova carta costituzionale fu  discusso dall’assemblea ed approvato a larga maggioranza il 24 agosto 1966, potendo così essere sottoposto a referendum.  Tuttavia, la situazione divenne complessa per l’elettore in quanto si trovò a discernere fra quattro proposte distinte, cioè : il progetto interpartitico (cd. riforma “arancione”) ; i progetti originari del Partido Nacional e di quello Colorado (cd., rispettivamente, riforma “grigia” e “rosa”) ; il progetto presentato dal Partido Comunista e da alcune organizzazioni sindacali operaie (cd. riforma “gialla”).

[205] Contrariamente al voto del 1951, qui l’espressione dell’appoggio popolare fu evidente in quanto il progetto interpartitico, la cd. riforma Naranja, stravinse ottenendo ben 786.987 voti (pari al 57%, con un’affluenza alle urne del 74,2%), mentre il progetto nacionalista, sostenuto dalle frazioni herrerista e della Unión Blanca Democrática (le quali si erano opposte al testo approvato dalla Commissione, avendo compreso che avrebbero perso rilievo nel sistema politico in assenza della compartecipazione) si fermò a 175.095 voti.  Il progetto comunista ottenne 86.315 voti e quello colorado solamente 1.120 suffragi : quest’ultimo, anche se era stato abbandonato dai proponenti, dovette formalmente essere sottoposto ugualmente al voto popolare.  Contestualmente, si procedette all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica nella persona del colorado Óscar Diego Gestido, ex generale dell’Aeronautica, che però morì improvvisamente il 6 dicembre successivo e fu sostituito dal Vicepresidente Jorge Pacheco Areco, cfr. ib., op. cit., 257-258.

[206] Il testo della Costituzione uruguayana del 1967, annotato e coordinato con le revisioni parziali del 1989, 1994 e 1997, è riportato in : R. CORREA FREITAS, Constitución de la República Oriental del Uruguay de 1967, Buenos Aires, 1997 ; G. DONATI, E. ROZO ACUÑA, op. cit., 457-524.  Sulla Costituzione del 1967, cfr. anche : H. CASSINELLI, Alcances y aplicación de la nueva Constitución uruguaya, Montevideo, 1967 ; A.R. REAL, Primeras perspectivas de la Constitución Uruguaya de 1967, in AA.VV., Perspectivas del Derecho Público en la segunda mitad del siglo XX.  Obra en homenaje a Enrique Sayagues-Laso, Madrid, 1969, III ; J.M. SANGUINETTI CAIROLO, A.P. SERE, La nueva Constitución, Montevideo, 1971 ; R. CORREA FREITAS, Introducción al derecho constitucional, Montevideo, 1988 ; J. LEJARZA, L.A. ORTIZ-ALVAREZ, La Constitución de la República Oriental de Uruguay de 1966 y su ultima reforma aprobada por plebiscito del 27 noviembre de 1989, in “Constituciones Latinoamericanas”, Caracas, 1997 ; G. DONATI, E. ROZO ACUÑA, op. cit., 447-456.

[207] A tal fine ricordiamo che il periodo di governo fu ampliato da quattro a cinque anni, e fu introdotta la facoltà presidenziale di rimettere al Parlamento progetti di legge con dichiarazione d’urgenza, al fine di accelerarne l’esame delle Camere.  

[208] Il semiparlamentarismo disegnato dalla Costituzione del 1967 prevede un esecutivo quasi collegiale, nel quale il potere è esercitato dal Capo dello Stato che agisce insieme al Ministro competente o con il Consiglio dei Ministri.  Il collegio può essere convocato dal Presidente della Repubblica o su richiesta di uno o più Ministri e prende decisioni a maggioranza assoluta ; per di più il voto del Presidente vale come quello degli altri Ministri, salvo che in caso di parità, quando è decisivo.  Tutte le decisioni del Gabinetto possono essere revocate con il voto della maggioranza assoluta dei suoi componenti, incluse quelle adottate originariamente dal Presidente della Repubblica con il Ministro o i Ministri rispettivi, che possono essere revocate dalla maggioranza assoluta dei componenti.  Oltre questo enorme potere, il Consiglio dei Ministri ha specifica competenza in tutti gli atti di governo e di amministrazione adottati individualmente dal Presidente della Repubblica o dai Ministri sui temi dei loro portafogli ed inoltre detiene competenza particolare riguardo alla richiesta dell’iter d’urgenza alle Camere per l’approvazione di progetti di legge o di riforma della legislazione vigente ; nella dichiarazione di guerra e di rottura delle relazioni diplomatiche, come pure nella dichiarazione degli stati di emergenza o di sommossa interna e per la delega presidenziale di funzioni esecutive ed amministrative.  Come si può rilevare, si tratta di un gabinetto che va più in là delle funzioni ordinarie che quest’organo ha in qualsiasi sistema di governo presidenziale e che, pertanto, avvicina definitivamente la forma di governo uruguayana a quella semiparlamentare (artt. 149, 160, 165 e 168).  Cfr. : L. DE RIZ, C. SMULOVITZ, La reforma constitucional en Argentina y Uruguay, in AA.VV., El presidencialismo puesto a prueba, Madrid, 1992 ; C.G. GILLESPIE, L.E. GONZÁLEZ, Presidencialismo y estabilidad democratica en Uruguay, in Las crisis del presidencialismo : El caso latinoamericano, Madrid, 1998 ; G. DONATI, E. ROZO ACUÑA, op. cit., 451-452.

[209] Peraltro il Capo dello Stato poteva opporsi alla censura del Ministro o di tutto o parte del Consiglio dei Ministri, solo se era stata approvata a maggioranza inferiore dei due terzi dei componenti l’Assemblea Generale.  Ma se quest’ultima confermava il suo voto, per almeno i tre quinti dei suoi componenti, la censura era obbligatoria per il Presidente ; al contrario aveva quarantotto ore di tempo per respingere la censure, mantenere in carica il Ministro o il Consiglio in carica e sciogliere le Camere, indicendo nuove elezioni.  Qualora poi, la nuova assemblea così eletta avesse mantenuto la precedente decisione sarebbe stato il Consiglio dei Ministri a cadere, ma non il Presidente della Repubblica, come previsto nelle Costituzioni del 1934 e del 1942, che dovrà scegliere nuovi Ministri.  Inoltre, sono state limitate le competenze del potere legislativo in materia di bilancio e finanziaria al fine di non alterare la pianificazione economica dello Stato ed evitare che si cadesse in tentazioni demagogiche, rafforzando nel contempo l’esecutivo come organo di coordinamento della politica economica del Paese.  Alcuni critici della Costituzione del 1967 l’hanno definita come autoritaria, ma un esecutivo forte non è incompatibile con lo spirito democratico e l’esperienza del Colegiado di fronte alla crisi economica aveva dimostrato che un esecutivo incapace di mantenere un’unità di azione, perdeva autorità ed energia, cfr. J.J. ARTEAGA, op. cit., 261-262.  Sugli sviluppi costituzionali più recenti in Sudamerica, anche con riguardo all’Uruguay, cfr. : R. CORREA FREITAS, Introducción, cit., 105 ss. ; E. ROZO ACUÑA, Tendenze del diritto pubblico in America latina (spunti comparatistici), in AA.VV., Scritti in onore di Antonino Pensovecchio Li Bassi, Torino, 2005, ed in : http://www.costituzionale.unige.it/ crdc, 2, 12.

[210] Al riguardo va ricordato che i leaders colorados dell’Uruguay uscito dall’esperienza militare, cioé Julio María Sanguinetti Cairolo e Jorge Luis Batlle Ibáñez, sono stati capaci, con non poca bravura, di superare e seppellire definitivamente il sistema colegiado di governo che per molto tempo divise l’opinione pubblica del loro Paese e con riferimento alle loro politiche, si è anche parlato di neobatllismo, per la non ortodossia nel seguire le idee del fondatore del loro partito, cfr. ib., op. cit., 207-208.

[211] Le cause del periodo militare dell’Uruguay non sarebbero però da ricercare nella Costituzione del 1966, bensì nelle crescenti tensioni che si crearono negli anni Sessanta, ed in particolare in vari motivi, interni ed esterni, tra cui più ricordiamo la dicotomia ideologia che diede origine alla guerra fredda e, in America latina, alla proliferazione di movimenti violenti di sinistra (tra i quali ricordiamo i Tupamaros, cfr. A. MERCADER, J. DE VERA, Los tupamaros. Estrategia y acción, Barcelona, 1970 ; O. COSTA, Los tupamaros, México, 1972), per cui il potere militare uruguayano nacque come reazione repressiva alle organizzazioni di lotta armata, cfr. J.J. ARTEAGA, op. cit., 259-260.  Con il golpe del 27 giugno 1973 i militari sciolsero le Camere, sostituite da un Consiglio di Stato di 25 membri, sotto la copertura del Presidente civile Juan María Bordaberry Arocena, in carica da un anno, che assunse i pieni poteri mantenendoli sino al 12 giugno 1976, quando fu deposto e sostituito interinalmente per circa 3 mesi dal Vicepresidente Alberto Demicheli, mentre la Costituzione del 1966 fu formalmente sospesa ed il paese fu governato con i cd. Actos Institucionales o Decretos Constitucionales, emanati dal Governo de facto di turno.  Con essi mutò la parte organica della Costituzione, creando il Consiglio della Nazione, composto da 45 membri (di cui 20 militari), in carica per 5 anni, il quale nominava il Presidente della Repubblica, i magistrati della Corte Suprema e del Tribunale del Contenzioso Amministrativo ed i membri del Consiglio di Stato (composto da 30 a 35 membri), titolare della funzione legislativa, in luogo del Parlamento (ma l’organo più importante era, di fatto, il Consiglio di Sicurezza Nazionale (COSENA) composto dal Presidente della Repubblica, dai Ministri dell’Interno e della Difesa, dal Capo di Stato Maggiore e dai Capi dell’Esercito, della Marina e dell’Aviazione).  Il potere esecutivo era esercitato collegialmente dal Presidente della Repubblica insieme al Consiglio dei Ministri ed il COSENA.  Dal 1976 al 1985 si succeddettero le due presidenze di Aparicio Méndez (1976-1981), ex Ministro della Sanità, e del generale Gregorio Conrado Álvarez Armellino, mentre il 30 novembre 1980 fu respinta, con il 57,2% dei consensi, la Costituzione autoritaria che il Governo militare aveva proposto al fine di prolungare la sua esistenza.  Con una legge del giugno 1982 furono di nuovo legalizzati i due partiti storici del paese, mentre la crisi economica e finanziaria, aggiunta alla lotta sociale al regime, caratterizzato da sistematiche violazioni dei diritti umani, indusse i militari a programmare la completa consegna del potere ai civili, anche se con alcune limitazioni, attraverso il cd. Pacto del Club Naval del 3 agosto 1984.  Nel compiere il passaggio l’esecutivo del regime emanò un Atto Istituzionale che ordinò il ritorno alla Costituzione del 1967 a partire dal 1° marzo 1985, pur lasciando in vigore, come disposizioni transitorie fino al marzo 1986, tra le altre, le norme sul Consiglio di Sicurezza, lo stato d’emergenza e la giurisdizione militare.  Dopo l’interim del Presidente della Corte Suprema, nelle elezioni del 1984, con candidati ancora esclusi dalle forze armate, risultò vincitore il colorado Julio María Sanguinetti Cairolo (1985-1990), anche se ciò non significa che il suo partito fosse maggioritario, ma solo che i militari esercitarono la loro influenza affinché non vincesse il candidato del partito Blanco, Wilson Ferreira Aldunate, trattandosi ancora di una democrazia “protetta”,.  A Sanguinetti Cairolo seguirono : Luis Alberto Lacalle Herrera, blanco (1990-1995) ; la seconda presidenza di Sanguinetti Cairolo (1995-2000) ; Jorge Luis Batlle Ibáñez, colorado (2000-2005) ; Tabaré Ramón Vázquez Rosas, frenteamplista (2005-).  Per un esame del processo che portò alla presa del potere dei militari in Uruguay e della successiva fase di ritorno alla democrazia, cfr. : C. FILGUEIRA, El dilema de la democratización en el Uruguay, Montevideo, 1984 ; L. GONZÁLEZ, Political parties and redemocratization in Uruguay, Washington, 1984 ; O. MARTORELLI, Transición a la democracia, Montevideo, 1984 ; J. RIAL, Partidos políticos, democracia y autoritarismo, Montevideo, 1984 ; L. COSTA BONINO, Crisis de los partidos tradicionales y movimento revolucionario en el Uruguay, Montevideo, 1985 ; L. DE RIZ, Partidos políticos y perspectivas de consolidación de la democracia : Argentina, Brasil y Uruguay, in “Documentos de Trabajo”, Buenos Aires, 1985 ; S. LÓPEZ CHIRICO, Estado y fuerzas en el Uruguay del siglo XX, Montevideo, 1985 ; G. DE SIERRA, Sistema electoral y partidos políticos en el Uruguay de la crisis, in “Revista de Ciencias Sociales”, 1, 1986, 47-58 ; H. BRUSCHERA, Las décadas infames. Análisis político. 1967-1985, Montevideo, 1986 ; G. CAETANO, J. RILLA, Breve historia de la dictadura, Montevideo, 1987 ; F. LERIN, C. TORRES, Historia politica de la dictadura uruguaya. 1973-1980, Montevideo, 1987 ; G. RAMA, La democracia en Uruguay, Buenos Aires, 1987 ; J. DE TORRES WILSON, Brevísima historia, cit., 71-85 ; F.E. PANIZZA, Uruguay : batllismo y después. Pacheco, militares y tupamaros en la crisis del Uruguay batllista, Montevideo, 1990 ; J.M. SANGUINETTI CAIROLO, El temor y la impaciencia. Ensayo sobrie la transición democrática en América Latina, Buenos Aires, 1991 ; F. FIORANI, op. cit., 120-125, 146-150 e 163-165 ; L.E. GONZÁLEZ, Las perspectivas de la democracia en el Uruguay, in “Cuadernos de Marcha”, 1992 ; C. FILGUEIRA, F. FILGUEIRA, Coaliciones recientes : sistema electoral, partidos y reforma estructural en Uruguay, in D. NOHLEN, M. FERNÁNDEZ, El presidencialismo renovado. Instituciones y cambio político en América Latina, Caracas, 1998 ; G. DONATI, E. ROZO ACUÑA, op. cit., 442-445.  Si ricorda altresì che il Parlamento neoeletto approvò una legge di amnistia per i detenuti politici, della quale beneficiò anche il leader dei Tupamaros, R. Sendic, che trasformò poi il movimento in un partito legale.  In tema di condizioni sociali, ricordiamo che, nell’ultimo decennio, il tasso di disoccupazione uruguayano è salito, nel marzo del 2002, sino al 20%, per poi ridiscendere al 13% nel 2004, mentre nello stesso anno l’inflazione era pari al 7,6% ed il debito estero ha raggiunto i 12,5 milioni di Dollari USA con circa 100 mila persone che vivono in condizioni di povertà su una popolazione complessiva di circa 3,380 milioni di abitanti (2003).  Dal punto di vista economico ricordiamo che il 26 marzo 1991 ad Asunción, in Paraguay, il Presidente Lacalle Herrera firmò con i Presidenti di Argentina, Brasile e Paraguay, il trattato istitutivo del mercato comune del MERCOSUR, entrato in vigore nel gennaio 1995.  Per una rassegna di dati statistici di carattere economico-sociale sull’Uruguay, cfr. : http://www.presidencia.gub.uy/pages/datos.htm ; http://www.odci.gov/cia/ publications/factbook/geos/uy. html.

[212] Cfr. V. TRIAS, op. cit., 71.                        

[213] Era evidente che la maggioranza delle riforme introdotte dalla nuova Costituzione rispondeva a necessità reali, così come gli abusi ed i difetti che si criticavano nella vita politica non cessarono grazie al solo ordine della legge.  Al fine di correggere i malcostumi politici era necessario modernizzare la struttura dei partiti politici, ma purtroppo per la democrazia uruguayana questo non avvenne e si è convertito nel compito da porre in essere da parte del sistema attuale, cfr. J.J. ARTEAGA, op. cit., 263.

[214] Cfr. M. FRAGA IRIBARNE, op. cit., 273-274.

[215] Cfr. C. RUIZ DEL CASTILLO, op. cit., 427.

[216] Cfr. W.S. STOKES, op. cit., 522, nonché cfr. nota 123.

[217] Cfr. H. GROS ESPIELL, op. cit., 166.

[218] Il diritto di voto alle donne fu sancito dalla Costituzione del 1934 e venne esercitato per la prima volta nelle elezioni politiche del 27 marzo 1938.

[219] Cfr. MAC DONALD, Latin American Politics and Government, New York, 1950, 459 ss., che dedica un interessante capitolo all’Uruguay, dal titolo : “Utopian Uruguay”.

[220] Come affermava E. LAORDEN : “Se per l’Uruguay sussistono molte ragioni sulla scarsa consistenza del suo essere nazionale, è uno Stato perfettamente stabilito”, “uno Stato perfettamente in regola”, “un meccanismo solido” (op. cit., 346), una “robusta impalcatura statale” (op. cit., 347).

[221] Sulla storia culturale uruguayana, cfr. G. MASSA, Introduzione alla storia culturale dell’Uruguay, Roma, 1978.

[222] Cfr. M. FRAGA IRIBARNE, op. cit., 276.

[223] Cfr. ib., op. cit., 276.

[224] Si può citare qui la frase di C. LACALLE, nel suo lavoro El Partido Nacional y la política exterior del Uruguay, Montevideo, 1947, XXXIII : “Il fondamento dialettico della nostra storia patria risiede nell’alternanza tra l’avanzamento ed il regresso dello spirito di ordinato e legale adeguamento dei fatti del governo alla realtà nazionale, e della negazione passionale di questa realtà, che è sacrificata agli interessi oligarchici o partitici di chi utilizza il potere pubblico”.

[225] La Costituzione degli Stati Uniti d’America, promulgata a Filadelfia il 17 settembre 1787, ratificata dal nono Stato, il New Hampshire, il 21 giugno 1788 ed entrata in vigore il 4 marzo 1789, è considerata, a buon diritto, come la più antica del mondo.

[226] Cfr. W.E. RAPPARD, op. cit., 153 ss.

[227] Il Consiglio esecutivo esisteva tradizionalmente nei Cantoni (Regierungsrath) e RÜTTIMANN, Das Nord-american Bundesstaatsrecht verglichen mit den politischen Einrichstunen del Schwiz, 233, afferma che : “Si era così abituati a questa organizzazione che nel 1848, quando fu discussa la Costituzione federale, si impose per la stessa, e mai si propose una diversa organizzazione del potere esecutivo”.

[228] Sull’esecutivo svizzero in comparazione con altri sistema si veda C.F. STRONG, Modern Political  Constitution, Londres, 1948, 246 ss.

[229] Cfr. M. HAURIOU, Précis élémentaire de Droit Constitutionnel, Paris, 1925.

[230] Cfr. M. GARCÍA PELAYO, Derecho constitucional comparado, Madrid, 1950, 469.

[231] D’altra parte, come afferma C.I. FRIEDRICH, Governo costituzionale e democrazia, Vicenza, 1950, “è venuta ad essere una tradizione, della quale vi sono poche eccezioni, rieleggere i membri […], che svolgono il mandato da molti anni”, e R.C. BROOKS, Government and Politics of Switzerland, 1918, cita casi di membri del Consiglio che hanno esercitato il mandato per venticinque, ventisette ed anche trentadue anni.

[232] Circa il processo di indipendentizzazione del Consiglio rispetto all’Assemblea, cfr. F. FLEINER, Z. GIACOMETTI, op. cit., 230 ss.

[233] La Costituzione del 1918 tentò di stabilire un sistema locale autonomo, creando, per quanto possibile, una vera autonomia dipartimentale.  L’intenzione di creare un accentuato decentramento territoriale era già presente nei progetti nacionalisti, che, ovviamente, appoggiavano ogni soluzione che tendesse a sottrarre competenze e potere al governo centrale.  Ma, allo stesso modo, a partire dagli “Apuntes” di Batlle del 1913, anche il Partido Colorado al governo mirava ad una riforma costituzionale del livello dipartimentale.  Il frutto di questa convergenza fu la soluzione che il Pacto de los Partidos, prima, e la Costituzione del 1918, poi, diedero al problema del governo e dell’amministrazione locale.  In particolare erano previsti come organi del governo locale un’Assemblea rappresentativa che, con alcune limitazioni, aveva competenza nella determinazione delle imposte (art. 133), nonché uno o più Consigli di Amministrazione autonomi, eletti dal popolo (art. 130).  Alla legge era deferito non solo il compito di attuare queste norme costituzionali, ma anche la fissazione delle competenze degli organi (artt. 132, 133 e 136) : questa legge, che forse esagerò la tendenza autonomista, fu promulgata il 23 dicembre 1919.  La conclusione fu che la soluzione data dalla Costituzione del 1918 al problema del governo locale, ebbe come difetto fondamentale di svincolare esageratamente il potere centrale dalle autorità dipartimentali, ed al tempo stesso di attribuire a queste la facoltà impositiva senza delimitare con precisione la materia imponibile, con la quale poteva aversi il caso di una duplicazione fra i tributi creati dalle autorità centrali e quelli previsti dagli organi dell’amministrazione locale.  Cfr. in tema A. DEMICHELI, El Gobierno local autónomo, Montevideo, 1929.

[234] Durante la campagna di riforma della Costituzione del 1918, si fece molto leva sui presunti difetti della stessa relativamente al governo locale.  In particolare, la carta del 1934 pose fine all’autonomia finanziaria dei Dipartimenti, eliminando la facoltà di stabilire imposte, nonché riducendo e limitando le loro risorse finanziarie (artt. 256, 257 e 258) e creando, altresì, un regime di bilancio per l’amministrazione dei Comuni soggetto al controllo del Tribunale dei Conti ed eventualmente anche del potere legislativo (art. 254).  Cfr. sull’argomento B. JEREIRA BUSTAMANTE, El régimen municipal vigente, Montevideo, 1936.

[235] Come prescritto dalla Disposizione Transitoria, lettera G), della Costituzione del 1952.

[236] Il sistema del governo dipartimentale stabilito nel 1934 restò inalterato con la carta del 1942 e rimase in vigore sino alla Costituzione del 1952.  

 


 

(*) Profesor Contratado en la Universidad de Venecia

 


 

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